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La vergognosa legge anti-gay in Uganda, che condannava gay e lesbiche a 14 anni di carcere e gli omosessuali “recidivi” all’ergastolo, è incostituzionale. Questa è la convinzione della Corte costituzionale del paese africano, che l’ha giudicata invalida per alcuni evidenti e già ben noti vizi procedurali: la legge era stata approvata in una seduta parlamentare in cui mancava il quorum [BuzzFeed]. Ora il governo ugandese potrebbe fare appello alla Corte costituzionale o il parlamento potrebbe riapprovare la legge seguendo le procedure corrette. Intanto la comunità LGBT festeggia, senza esagerare: nonostante la (momentanea?) buona notizia, le persone omosessuali e transessuali in Uganda vivono comunque una vita difficile e nascosta, come raccontano bene gli scatti di Daniella Zalcman, fotoreporter basata a Londra e New York. Il Grande Colibrì l’ha intervistata.

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Come è iniziato il tuo progetto fotografico? Da dove è nato il tuo interesse per i diritti delle persone LGBT in Uganda?

Sono capitata a Kampala nel 2011, mentre lavoravo per documentare l’indipendenza del Sudan del Sud. Ero lì per un paio di settimane quando lessi che David Kato, il primo e più famoso attivista per i diritti gay in Uganda, era stato ucciso da poco. Ho contattato la comunità degli attivisti LGBT e ho iniziato una serie di ritratti di coppie, di cui ritenevo che ci fosse una penosa mancanza nella copertura mediatica allora esistente. Sono stata attenta ad oscurare i volti di tutti coloro che non erano dichiarati con la propria famiglia, con i colleghi, eccetera.

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Hai fotografato molti attivisti ugandesi mediante una doppia esposizione, altri sono nascosti dietro tende o “spiati” attraverso piccoli buchi: quale messaggio vorresti dare con questa scelta stilistica?

Allora ero molto consapevole del fatto che, anche se tutte le persone fotografate mi avevano dato il permesso esplicito di usare le loro immagini sugli organi di informazione, poteva non essere sicuro o responsabile rendere pubblici i loro volti. Per questo, eccezion fatta per gli attivisti più visibili, le cui facce erano già su tutti i media ugandesi, ho fatto del mio meglio per confondere, quando possibile, le identità. La scelta è stata pratica e necessaria, ma è anche, credo, un modo per ribadire come questi individui per sopravvivere debbano rimanere sempre nascosti.

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Le tue fotografie sono state fatte subito dopo l’approvazione della legge anti-gay in parlamento: com’era cambiata la vita quotidiana delle persone LGBT dopo questa legge?

Queste fotografie sono state tutte fatte dopo che il parlamento aveva approvato la legge, ma prima che il presidente Museveni l’avesse promulgata: c’era la minaccia incombente di un inasprimento delle norme penali, ma la comunità LGBT godeva ancora di una relativa libertà. Dopo la firma di Museveni, era tutto diverso. Kampala non era un bel posto per essere gay, ma c’era spazio per un paio di bar e club LGBT, per incontri di auto-aiuto, anche per il Pride nel 2012 e nel 2013. Tutto questo aveva cessato di esistere.

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In Uganda ti sei anche confrontata con persone non omosessuali? Le persone comuni cosa pensavano della legge abrogata oggi?

Sì, in quanto giornalista credo sia molto importate avere una comprensione reale di quello che la “gente” pensa anche quando sei immersa in una comunità specifica. Ho letto che più del 90% degli ugandesi sono a favore della legge, e io ci credo, ma mi ha sorpresa vedere quante persone avessero più un atteggiamento alla “vivi e lascia vivere” nei confronti delle minoranze sessuali in genere. Ovviamente, un sacco di altre persone difendevano la legge in modo combattivo, ritenendola un modo per difendersi contro numerose minacce immaginarie, come il “reclutamento” dei bambini, dalle quali erano state messe in guardia dalle autorità religiose.

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Pier
©2014 Il Grande Colibrì

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