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Una larga fetta dei media non sembra neppure essersi accorta dell’importanza di quello che è successo mercoledì 9 luglio nel sud-est asiatico, eppure la rilevanza storica delle ultime elezioni presidenziali in Indonesia è incontestabile: non solo quando centinaia di milioni di persone votano è un evento storico di per sé, ma soprattutto queste elezioni sono state una sfida epocale tra democrazia e autoritarismo capace di modificare il destino dell’Indonesia e di tutta l’Asia. “C’erano solo due candidati e non avrebbero potuto essere più diversi l’uno dall’altro. La maggior parte delle proiezioni indicano che Jokowi ha più voti di Prabowo, ma i due candidati sono testa a testa, la differenza è così ridotta che entrambi hanno reclamato la vittoria. Dobbiamo aspettare i risultati ufficiali che dovrebbero arrivare entro il 22 luglio” spiega King Oey, fondatore di Arus Pelangi (Arcobaleno che scorre).

Arus Pelangi (aruspelangi.org) è una delle organizzazioni LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) più famose in Indonesia e porta avanti una battaglia politica a tutto campo sui temi dei diritti legati all’orientamento sessuale e all’identità e espressione di genere. L’associazione organizza campagne in molte occasioni (ad esempio la Giornata internazionale contro l’omofobia e la transfobia o la Giornata dei diritti umani), crea percorsi educativi sul genere e sui diritti, organizza gruppi LGBT a livello locale, collabora con altre organizzazioni della società civile. “Possiamo fare tutte queste cose apertamente, perché l’omosessualità non è considerata un crimine in Indonesia” dice King Oey.

D’altra parte, però, la vita delle persone LGBT in Indonesia non è semplice e le discriminazioni e i pregiudizi sono numerosi: “La società rifiuta l’omosessualità con molta forza, perché la considera contraria ai dogmi religiosi, in particolare a quelli islamici, e ai valori della famiglia tradizionale. Le persone LGBT sono considerate come peccatrici o come malate. In un sondaggio del 2011, è emerso che l’85% della popolazione rifiuta completamente l’idea di avere un vicino gay o lesbica“. La politica, come succede in molti paesi, non affronta il problema dell’omofobia, ma al contrario si adegua ai pregiudizi della società: “Il governo non è stato disposto a riconoscere le persone LGBT come una vera e propria minoranza meritevole di protezione: preferiscono ignorarci” denuncia King Oey.Come Teguh, manager dell’associazione LGBT Suara Kita, aveva spiegato a Il Grande Colibrì, né Joko Widodo, il candidato democratico meglio conosciuto come Jokowi, né Prabowo Subianto, erede della dittatura, hanno citato esplicitamente i diritti di omosessuali e transgender nella propria campagna elettorale. King Oey, però, fa notare alcune differenze interessanti: “Jokowi ha precisato che avrebbe perseguito attivamente un programma per i diritti umani, insieme all’estirpazione della corruzione. D’altra parte, si mormora che il figlio di Prabowo, che fa lo stilista di moda a Parigi, sia gay e il loro rapporto sembra tutt’altro che caloroso“.

Il silenzio della campagna elettorale è ancora più grave se si considera il numero crescente di attacchi e sabotaggi che la comunità LGBT indonesiana ha subito negli ultimi anni da parte di gruppi integralisti islamici, nell’indifferenza della polizia. “Il governo ha agito con durezza contro i gruppi terroristi, ma non ha toccato gli integralisti ‘legali’, che mirano a stabilire uno stato islamico con leggi ispirate ad un’interpretazione draconiana della sharia – denuncia King Oey – Il periodo di governo dell’attuale presidente, Susilo Bambang Yudhoyono, passerà alla storia come l’apogeo dell’intolleranza politica in Indonesia e per la proliferazione degli attacchi contro tutte le minoranze: soprattutto sciiti, ahmadi, cristiani e LGBT hanno subito il peso della furia integralista“.

Nonostante il silenzio della campagna elettorale, “gli elettori LGBT hanno votato Jokowi in modo schiacciante. E non bisogna sorprendersi!“. I due candidati sono agli antipodi, come ci ha spiegato Teguh e come ribadisce King Oey: “Prabowo è un ex generale dell’esercito con un curriculum discutibile sui diritti umani ed è anche il genero del presidente autoritario Suharto. Tipico candidato vecchio stile appoggiato dalla maggior parte dei politici corrotti, si è presentato come un leader forte con un programma nazionalista. Jokowi è un politico sobrio, estraneo alle elite, pragmatico: si è reso estremamente popolare quando è stato sindaco della sua città natale, Surakarta, e nel breve periodo in cui è stato governatore di Giacarta“.Un altro aspetto importante di cui tenere conto è il rapporto che i due candidati hanno con la religione: Jokowi è un fedele musulmano, ma ha ribadito di credere in un Islam come “rahmatan lil-alamin” (benedizione per il mondo), cioè in un Islam portatore di pace e non di odio, e ha promesso di difendere la tradizionale tolleranza indonesiana e il principio costituzionale “Bhinneka Tunggal Ika” (unità nella diversità).

La posizione di Prabowo, invece, è più ambigua, come spiega King Oey: “I gruppi integralisti lo hanno appoggiato senza che lui li corteggiasse apertamente. La sua coalizione comprende un mix eterogeneo di sostenitori che si odiano tra loro e che lui avrebbe faticato a gestire se avesse vinto: ci sono i gruppi integralisti e i partiti musulmani conservatori, per i quali ‘pluralismo’ è una parolaccia, ma c’è anche una serie di partiti laici. Lo stesso fratello di Prabowo, uomo d’affari cristiano che ha finanziato la sua campagna elettorale, ha manifestato più volte di disapprovare l’influenza dell’Islam politico nella coalizione: ad esempio, una campagna di calunnie contro Jokowi sosteneva che fosse segretamente cristiano“.

E’ possibile che quasi la metà di un popolo voti democraticamente l’erede di una dittatura, a capo di una coalizione piena di poteri loschi, di gruppi fanatici, di politici corrotti? Sì, e anzi non è certo una novità: personaggi come George W. Bush o Silvio Berlusconi sono stati eletti in democrazie teoricamente più “mature” di quella indonesiana.King Oey ci fornisce una serie di analisi interessanti per spiegare il successo di Prabowo: “Dopo una lunga dittatura, le parti ‘facili’ del processo di democratizzazione possono essere realizzate in pochi anni, ma alcune questioni difficili e delicate, come il raggiungimento della verità, la riconciliazione o il consolidamento della tolleranza, hanno bisogno di più tempo (anche di decenni) per essere affrontate. Ovviamente la vecchia guardia, che in questo caso si è coalizzata con Prabowo, non cederà facilmente i propri poteri e solo l’avvento di una nuova generazione di dirigenti senza legami con il vecchio regime può portare a compimento il processo di democratizzazione. L’elemento davvero preoccupante, invece, è che l’immagine del leader forte sembra aver attratto soprattutto gli elettori più giovani“.

Un altro elemento che ha rafforzato Prabowo è stato il già ricordato sostegno degli islamisti: “L’Indonesia fa parte del mondo globalizzato e quindi anche lei deve fare i conti con la potente ondata dell’Islam politico, tanto radicale quanto moderato, che è iniziata negli anni Ottanta e che continua ancora oggi“. Non bisogna poi dimenticare gli interessi materiali delle elite capitalistiche e di una parte della classe media: “Le persone più a loro agio nell’attuale situazione socio-politica hanno paura della posizione anti-corruzione di Jokowi e hanno votato Prabowo“.

Per fortuna, però, Jokowi dovrebbe avere vinto le elezioni, anche se non in modo trionfale. “Una lieve maggioranza sembra essere a favore di un cambiamento autentico. Queste elezioni hanno segnato numerosi cambiamenti di paradigma rispetto alle precedenti. Ad esempio, hanno dimostrato che non bisogna essere il leader di un partito per diventare un candidato presidente. E che si possono mobilitare migliaia di volontari se piaci alla gente“. Intanto, in attesa dei risultati definitivi, possiamo permetterci un sospiro di sollievo?

Pier Cesare Notaro
©2014 Il Grande Colibrì
immagine: Il Grande Colibrì

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