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La situazione degli omosessuali in Siria è assolutamente drammatica: se molti media hanno rilanciato – spesso irresponsabilmente – i video propagandistici di Daesh (il gruppo terroristico Stato Islamico) in cui presunti gay vengono gettati dai tetti o uccisi a sassate, molta meno attenzione hanno suscitato le denunce di omicidi e persecuzioni di omosessuali da parte dell’esercito fedele al presidente Bashar Al-Assad, di molti gruppi ribelli, a volte persino delle loro stesse famiglie [Il Grande Colibrì]. Questa tragedia particolare all’interno della più ampia tragedia collettiva – hanno ricordato più volte i difensori dei diritti umani – meriterebbe una risposta particolare all’interno della più ampia risposta collettiva. In Canada e negli Stati Uniti qualcuno ha dimostrato di non aver capito la situazione o, peggio ancora, di voler far finta di niente per biechi calcoli elettoralistici.

In Canada il nuovo governo ha deciso che accetterà di dare rifugio solo a famiglie, donne e bambini, mentre, per paura di aprire le porte a qualche militante di Daesh, gli uomini da soli non verranno accettati, a meno che non siano omosessuali [National Post]. Subito sono scoppiate le polemiche, a partire dalla questione di come identificare i gay. Una portavoce governativa ha spiegato all’Huffington Post: “Valuteremo se un rifugiato siriano faccia parte della comunità LGBT anche in base alle informazioni fornite dal rifugiato stesso al momento di registrarsi all’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR)”.

La spiegazione ha suscitato, nei casi migliori, forti perplessità nelle organizzazioni che difendono i diritti umani. Come ben sa chi si occupa di persone che fuggono da una persecuzione basata sull’orientamento sessuale, il processo che porta questi individui a svelare la propria omosessualità o bisessualità è lento e difficile. Come ricordano proprio dall’UNHCR, le organizzazioni possono mostrarsi aperte a certe tematiche, ma per le persone LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) è sempre molto difficile “confessare” la propria condizione. Quindi, come spiega Chris Morrissey di Rainbow Refugees (Rifugiati arcobaleno), è probabile che la decisione canadese di accogliere solo i rifugiati omosessuali resti un proposito buono quanto inutile [Global News].

Anzi, cattivo quanto inutile. Perché un conto è sostenere che i rifugiati LGBT meritino una soluzione specifica dal momento che vivono problematiche specifiche, ben altro è sostenere che siano gli unici a meritare una soluzione. Come ricorda Amnesty International [Amnesty International], non solo in Siria anche altri gruppi sono perseguitati tanto quanto gli omosessuali (per esempio, i giornalisti e gli attivisti per i diritti umani), ma soprattutto questa chiusura agli uomini eterosessuali senza famiglia e parallela apertura agli uomini gay rinforza, da una parte, il pregiudizio sui rifugiati maschi come gruppo pericoloso e, dall’altra, gli stereotipi sugli omosessuali come corpi estranei impiantati e sostenuti dall’Occidente nel resto del mondo. Insomma, la toppa rischia di essere peggiore del buco.

Se però nelle vicende canadesi si può immaginare una certa buona fede, è molto più difficile farlo quando si guarda all’operato di tre parlamentari democratici negli Stati Uniti: i gay dichiarati Jared Polis del Colorado e Sean Patrick Maloney di New York e la bisessuale Kyrsten Sinema dell’Arizona. Tutti e tre hanno votato la proposta di legge repubblicana che pone nuove pesanti restrizioni nell’accettazione di rifugiati dalla Siria e dall’Iraq, beccandosi l’accusa di essere degli ipocriti senza scrupoli.

Ma facciamo un passo indietro. Maloney tuona: “Alcuni leader hanno ceduto alla paura e hanno voltato le spalle ai rifugiati: queste azioni sono riprovevoli e presentano una scelta falsa tra i nostri valori e la nostra sicurezza”. Polis ricorda di provenire da una famiglia di profughi ebrei e afferma di “sostenere continuamente e senza riserve” la necessità di accogliere chi fugge dalla guerra e dalla persecuzione [Queerty]. E Sinema ha fatto carriera difendendo i rifugiati, come ricorda Michelangelo Signorile sull’Huffington Post. E allora perché alla fine hanno votato a favore di una legge simile?

Tutti e tre giurano, per usare le parole di Polis, che “la legge non ci impedirebbe di accogliere i rifugiati in futuro né provocherebbe ritardi”, ma in realtà praticamente tutti – dagli esperti di diritto agli stessi proponenti repubblicani – affermano che l’obiettivo è proprio quello di rendere l’accoglienza ai profughi molto più difficile e lenta. E – come per altro spiegano persino alcuni sostenitori dei tre politici! – sembra evidente che l’unica motivazione reale del voto di Maloney, Polis e Sinema sia la necessità di mettersi in tasca qualche voto degli elettori di destra…

Le organizzazioni LGBT si sono divise: qualcuna ha preferito non prendere posizione o sostenere di “non avere un’opinione sulla Siria” (sic!), mentre altre accusano apertamente il trio di diffondere ignoranza e paura. L’attivista gay democratico Peter Rosenstein, su Washington Blade, non usa mezzi termini: “Hanno votato per pararsi il culo alle prossime elezioni, ma dovrebbero avere problemi a guardarsi nello specchio”. E poi ricorda le parole di Hillary Clinton: “Non possiamo permettere ai terroristi di intimidirci fino a farci abbandonare i nostri valori ed i nostri obblighi umanitari. Noi non abbandoniamo gli orfani, non facciamo test religiosi, non discriminiamo i musulmani, non sbattiamo la porta in faccia a ogni rifugiato siriano. Noi agiamo meglio di così”.

 

Pier
©2015 Il Grande Colibrì

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