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In Bangladesh sono intervenute addirittura le forze d’élite del Rapid Action Battalion (Battaglione di intervento rapido; RAB), unità speciale contro il terrorismo e la criminalità, per irrompere in una festa privata e arrestare alcune decine di presunti gay (27 secondo The Times of India, mentre altre fonti indicano 28 o 29 uomini). L’accusa iniziale, esplicitata dal maggiore Mansur del RAB, era chiarissima: “Abbiamo arrestato 27 persone per l’omosessualità. Sono omosessuali. Hanno tenuto un incontro qui”. Nel paese asiatico è ancora in vigore la sezione 377 del codice penale britannico, introdotto in epoca coloniale, che punisce i “rapporti carnali contro l’ordine della natura” con una pena che può arrivare all’ergastolo.

Una volta trasferiti sotto la custodia della polizia regolare, però, sono spuntate all’improvviso metanfetamine e marijuana, mentre altrettanto rapidamente le accuse di “crimini contro natura” sono scomparse. Ora tutti gli uomini arrestati saranno giudicati per reati legati al possesso di sostanze stupefacenti.

Questo arresto di massa, anche se camuffato da retata anti-droga, è purtroppo l’ennesima dimostrazione del peggioramento progressivo delle condizioni di vita dei gay in Bangladesh. L’evento simbolo di questa svolta verso gli abissi resta comunque l’assassinio, poco più di un anno fa, di Xulhaz Mannan, fondatore dell’unica rivista LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer, intersessuali e asessuali), e del suo compagno per mano di Ansarullah Bangla Team, un gruppo fondamentalista islamico ispirato ad Al-Qaeda [Il Grande Colibrì].

Bangladesh, chi protegge gli assassini di laici e gay?

I terroristi non sono l’unico problema

A inizio mese è stato arrestato Ashfaqur Rahman, il capo informatico dell’organizzazione terrorista, che hackerava i profili degli attivisti per i diritti umani e dei blogger laici sui social network per ricostruirne i movimenti e pianificare il loro omicidio [Dhaka Tribune], ma neppure questo arresto può essere sopravvalutato: il governo e le forze di sicurezza non sembrano impegnarsi realmente per difendere gli attivisti che si battono per i diritti delle donne e delle minoranze religiose, etniche e sessuali. Anzi, la prima ministra socialista Sheikh Hasina continua a demonizzare e criminalizzare le attività delle organizzazioni per i diritti umani.

“Le persone pensano che l’unico problema sia che veniamo uccisi, che gli ‘estremisti’ ammazzino gli attivisti: è questo che fa notizia – ha spiegato recentemente all’Huffington Post un attivista gay che collaborava con Mannan – Ma nessuno parla del fatto che il governo ci arresta, crea leggi per ridurci al silenzio e rifiuta di proteggerci quando denunciamo le minacce di morte”.

Dal momento che tutti conoscono l’atteggiamento oscurantista della polizia, molti attivisti non denunciano le minacce o le violenze che subiscono. Chi lo fa, si ritrova quasi sempre davanti agenti che lo invitano a smetterla di fare attività politiche, a starsene zitto o addirittura ad abbandonare il paese. E, tra l’incudine fondamentalista e il martello governativo, la gran parte degli attivisti ha ormai deciso di seguire questi consigli.

 

Pier
©2017 Il Grande Colibrì

 

 

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