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Sono ormai parecchi mesi che gli attacchi nei confronti di liberi pensatori, laici e non allineati insanguinano a morte il giovane stato del Bangladesh, ma all’amara descrizione della situazione, proposta dal blogger Ananya Azad nelle scorse settimane su Internazionale si è aggiunto un nuovo e drammatico episodio. Xulhaz Mannan, uno dei fondatori di Roopbaan, l’unica rivista LGBTQI (lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer e intersessuali) bangladese, è stato ucciso a colpi di machete e di pistola insieme al compagno nell’appartamento dove vivevano nella capitale del paese, Dhaka [The Guardian]. Malgrado fosse da tempo minacciato, non aveva nessuna forma di protezione, esattamente come nel caso delle altre vittime della violenza integralista che non ammette deviazioni dall’interpretazione più oscurantista della religione islamica.

Il ruolo del terrorismo islamico

La rivendicazione del brutale duplice omicidio è arrivata prontamente – secondo il sito di intelligence statunitense Site – dalla sezione del subcontinente indiano di Al-Qaeda, che ha accusato le vittime di “essere al lavoro giorno e notte per promuovere l’omosessualità tra la gente di queste terre dal 1998, con l’aiuto dei loro padroni, i crociati degli Stati Uniti, e dei loro alleati indiani”.

In altri casi le rivendicazioni erano arrivate dal gruppo Stato islamico (Daesh), ma la polizia si è sempre mostrata scettica, sostenendo che queste formazioni di islamisti radicali non sono presenti nel paese e il governo sembra abbracciare questa tesi, accusando invece l’opposizione di voler fomentare i disordini nel paese. Ma analisti indipendenti spiegano che, pur non essendoci in modo visibile organizzazioni riferibili ad Al-Quaeda o a Daesh, è possibile che alcuni fanatici islamisti abbiano qualche forma di collegamento con questi gruppi e si siano ispirati alle loro azioni in Asia occidentale e in Nord Africa [Hindustan Times].

Gli occhi chiusi delle istituzioni

Ma la cosa più sconcertante è che, dopo alcune condanne comminate ai responsabili dei primi omicidi di questo genere, dal 2013 – anno in cui gli episodi di intolleranza violenta hanno preso a moltiplicarsi in modo esponenziale – non ci sono più state indagini serie o, comunque, che abbiano portato a qualche risultato. Al contrario, i blogger e gli esponenti del pensiero libero vittime della violenza hanno dovuto spesso fronteggiare anche l’intolleranza e gli attacchi di membri del governo.

Per quanto però la pressione internazionale stia crescendo – nel caso dell’omicidio di Xulhaz Mannan e del suo compagno è intervenuto anche l’ambasciatore in Bangladesh degli Stati Uniti e successivamente anche il sottosegretario di stato USA John Kerry, anche perché Mannan aveva lavorato con United States Agency for International Development (Agenzia USA per lo sviluppo internazionale; USAID) – appare però sempre più evidente un’assenza di volontà politica, da parte del governo della premier Sheikh Hasina: diversi ministri hanno fatto capire infatti che “un giro di vite sui gruppi islamici radicali potrebbe offendere la sensibilità religiosa e causare più problemi di quanti ne risolva”.

E la situazione di povertà, le violazioni dei diritti umani e la presenza di un’opposizione divisa e inefficace, secondo gli analisti, stanno causando giorno dopo giorno una maggiore polarizzazione e sta mettendo a rischio la democrazia [The Guardian].

E amore sarà, un giorno o l’altro

Rispetto a questa spirale di violenza, stridono le ottimistiche previsioni scritte due anni fa da Xulhaz Mannan per il Guardian. Dopo aver spiegato che la legge punisce l’omosessualità e la religione addita le persone LGBTQI come peccatrici, Mannan esponeva le proprie speranze, vedeva un aumento dell’impegno degli attivisti, contava sul sostegno degli individui e dei gruppi per i diritti umani e spiegava come sarebbe potuto essere utile avere una rivista e utilizzare le piattaforme online: “In un paese dove il concetto stesso di sesso e sessualità è un tabù, stiamo imparando a percorrere le nostre strade evidenziando e mettendo al centro di tutto l”amore’, come un diritto umano che non può essere negato sperando in una accettazione migliore e magari più veloce, un giorno o l’altro!”.

Michele Benini
©2016 Il Grande Colibrì
foto: elaborazione da Vinicius Vilela (CC0)

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