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Come si spiega che i social media algerini si siano riempiti delle bandiere arcobaleno del movimento LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex e asessuali)? E com’è possibile che il secondo hashtag più diffuso nei profili Twitter sia diventato #كلنا_مرتزقة_شواذ_ومثليين (Siamo tutti mercenari pervertiti e omosessuali)? Tutto questo accade in un paese che da febbraio ogni venerdì scende in piazza in massa, in manifestazioni tanto colossali quanto pacifiche. Manifestazioni coraggiose, soprattutto, vista la forte repressione. Il popolo in rivolta è già riuscito ad aprile a cacciare dal potere Abdelaziz Bouteflika, presidente dal lontano 1999, e ora contesta le elezioni presidenziali previste per giovedì 12 dicembre, a cui parteciperanno 5 rappresentanti del regime.

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Una casta arrogante

In Algeria da decenni un piccolo gruppo, legato al Jabhat al-Tahrir al-Watanii (Fronte di liberazione nazionale; FLN), monopolizza il potere politico ed economico attraverso la corruzione e la violenza, come per esempio ha efficacemente denunciato Yasmina Khadra in “Cosa aspettano le scimmie a diventare uomini“, un romanzo poliziesco con protagonista una commissaria lesbica. Questa vera e propria “casta” gioca anche con la paura di un ritorno alla guerra civile degli anni ’90, ma la popolazione non ne può più di un regime che fa solo i propri interessi, distrugge l’economia e reprime le libertà. E così l’Algeria (come il Sudan, il Libano, l’Iraq e, in misura minore, l’Egitto) reclama una rivoluzione, una nuova repubblica democratica e laica.

La risposta del potere è stata la solita: violenze, arresti, censure. E un fiume di volgari assurdità indirizzato contro chi protesta. Così al ministro dell’interno Salah Eddine Dahmoune, un fedelissimo della prima ora di Bouteflika, è sembrato normale definire i manifestanti come “traditori, finti algerini, mercenari, pervertiti e omosessuali“. L’idea era quella di invocare, come fatto mille volte in passato, un presunto complotto straniero per distruggere il paese. I media legati al potere hanno ripreso queste dichiarazioni, censurando però il termine “mithliyin” (omosessuali), forse per eccessivo pudore (anche se il termine in sé non ha nulla di volgare) o forse sperando di salvare il politico da una grande figuraccia. Ma il video delle dichiarazioni è diventato subito virale.

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La reazione popolare

Qualche rara voce ha provato maldestramente a difendere il ministro sui social: “L’Algeria non è e non sarà mai un cortile dei francesi, specialmente di quell’omosessuale di Macron“. Ma la stragrande maggioranza dei commenti sono contrari a Dahmoune: “Non prova vergogna a trattare così gli algerini, a esprimersi con tanta volgarità?” scrive qualcuno, mentre altri invocano le sue dimissioni o un processo. Non sono pochi gli internauti che ricordano che “siamo nel XXI secolo, non si può più dare dell’omosessuale a qualcuno come se fosse un insulto“.

Comunque  la risposta più comune è stata l’ironia, con un tripudio di finti coming out (“Grazie al ministro ho scoperto di essere gay“) e slogan (“Siamo tutti omosessuali, siamo tutti froci e tutti traditori! Siamo tutti uguali, tutti uguali e tutti stufi!“). C’è chi fa paralleli tra la bandiera arcobaleno e quella della minoranza etnica berbera, vietata dal regime. E chi immagina che d’ora in poi la bandiera algerina si venderà come il pane nei Pride di tutto il mondo.

Anche la manifestazione di venerdì scorso, il 6 dicembre, è stata ribattezzata da molti come il “42esimo Pride algerino“, dal momento che è stato il 42esimo venerdì di protesta. Altri hanno parlato invece di “Gaïd Pride“, con uno sberleffo nei confronti di Ahmed Gaïd Salah, il generale e vice-ministro della difesa che di fatto guida il paese dalle dimissioni di Bouteflika. E si sprecano i commenti alle foto delle strade invase da un numero talmente alto di manifestanti che le agenzie di stampa indipendenti hanno detto che era impossibile fare delle stime: “Oddio, guardate quanti omosessuali ci sono in Algeria!” ironizza qualcuno, mentre altri parlano del “più grande Gay Pride del mondo“.

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E ora cosa cambia?

Tutte queste prese di posizione sono satiriche e non mostrano un reale atteggiamento favorevole alle minoranze sessuali, che subiscono ancora una forte repressione da parte tanto della legge (che punisce l’omosessualità con 3 anni di carcere) quanto della società, con numerosi casi di discriminazioni, violenze e anche omicidi. Ma anche l’ironia e la presa di coscienza dell’omofobia del potere possono aiutare a fare qualche passo avanti verso quello che è l’obiettivo del movimento LGBTQIA all’interno delle proteste, come hanno spiegato gli attivisti di Alouen in un’intervista a Il Grande Colibrì: “La ricostruzione di uno stato di diritto dove ogni persona si sentirà protetta contro le discriminazioni, comprese quelle basate su identità di genere e orientamento sessuale“.

Pier Cesare Notaro
©2019 Il Grande Colibrì
foto: elaborazione da Becker1999 (CC BY 2.0) / da Wasssb07 (CC BY-SA 4.0)

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