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E’ passato appena un anno dalla campagna inglese per promuovere i diritti LGBTQ* nei paesi terzomondiali (Il grande colibrì), presto condivisa dagli Stati Uniti (Il grande colibrì) e i risultati sono spesso sconfortanti. Se è vero che alcune minacciate leggi che potevano peggiorare la condizione omosessuale sono rimaste solo un progetto, è pur vero che la vita per le persone LGBTQ* in questi paesi, e segnatamente in molti stati africani, rimane in costante pericolo.

E purtroppo le violazioni dei diritti umani si sommano, com’è accaduto pochi giorni fa in Zimbabwe, dove gli uffici dell’associazione “Gay and Lesbian of Zimbabwe” sono stati invasi da due camion di poliziotti che hanno sequestrato documenti  e computer, senza nemmeno presentare un mandato di perquisizione (News24).

L’atto segue di pochi giorni l’arresto di 44 attivisti, che, secondo l’Alleanza Diritti e Aids per i paesi sudafricani (ARASA), sarebbero stati “oggetto, dopo l’arresto, di tortura, trattamenti crudeli, inumani e degradanti“. L’Alleanza accusa inoltre la polizia di “molestie nei confronti di organizzazioni della società civile incostituzionali e inaccettabili“. Una dura condanna è giunta anche dagli Avvocati dello Zimbabwe per i diritti umani (The Zimbabwean), mentre dall’estero si segnala solo una forte presa di posizione degli Stati Uniti (France Press).

La situazione non è molto diversa in Uganda, ed è ben illustrata dalla sezione su diritti umani e questione LGBTQ* del rapporto appena pubblicato dall’organizzazione Human Rights Watch, dove è evidenziato il peggioramento delle condizioni degli ultimi anni, dovuta anche alla promulgazione di leggi contro l’omosessualità che di fatto rendono pericoloso anche solo affrontare l’argomento pubblicamente. Intanto uno dei più celebri attivisti per i diritti LGBTQ* del Paese, Frank Mugisha, ha incontrato a Copenhagen il ministro dello sviluppo danese Villy Søvndal per chiedere di monitorare la situazione e fare pressioni sul governo ugandese per il riconoscimento dei diritti civili (Out&About), come del resto raccomandano tutte le ONG per i diritti civili.

Nel frattempo, però, anche nell’omofobo Uganda, c’è spazio per una notizia con un risvolto positivo. In un piccolo teatro della capitale, Kampala, è infatti stata portata in scena una pièce di argomento omosessuale, “Il fiume e la montagna”, dopo che la prevista messa in scena al Teatro nazionale era stata bloccata dai solerti funzionari governativi (The Washington Post).

Non va meglio in Kenya, dove tre  lesbiche sono state aggredite a Nairobi da due uomini che volevano punirle per la loro omosessualità (Identity Kenya), sebbene oltre a questo conclamato motivo (i due hanno insultato le donne per il loro orientamento sessuale) un altro fatto potrebbe esser stato concausa di questa violenza, dato che una delle tre lesbiche era stata testimone di un recente attacco a  un transessuale (Identity Kenya).

E nemmeno dal Camerun giungono buone notizie: sebbene poi non si sia segnalata alcuna manifestazione, per un paio di giorni fa era stata indetta, con tanto di cartelli esposti, una “Giornata di odio per i gay”, come denunciato da attivisti ed organizzazioni umanitarie. Nel Paese, sebbene dal governo non vi sia stata al momento nessuna apertura, ferve il dibattito sulla possibile decriminalizzazione dell’omosessualità, con i gruppi religiosi e conservatori già schierati con forza contro la cancellazione delle leggi anti-gay richiesta dall’organizzazione AllOut (PinkNews).

Anche in Ghana si tenta di far partire la discussione sul riconoscimento di diritti alla popolazione LGBTQ*: per provare a convincere il governo a promuovere leggi più eque è intervenuto l’ambasciatore statunitense Donald Teitelbaum che ha chiesto riforme a favore della comunità omosessuale (GhanaWeb).

 

Michele
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