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Non avete mai sentito parlare del regista messicano Paco del Toro? Non c’è nulla di strano: non possiamo certo dire che sia un nome molto noto del cinema latino-americano. E, se non avete mai visto un suo film, non vi preoccupate troppo: non vi siete persi nulla di eccezionale. D’altra parte, lo dice lui stesso: con le sue pellicole non gli interessa fare capolavori, ma solo lanciare messaggi sociali. Conviene comunque non dimenticare questo nome troppo in fretta: è il protagonista di tantissimi articoli scritti in svariate lingue diverse. Ma perché Paco del Toro è diventato all’improvviso un eroe e la sua ultima opera rischia di fare il giro del mondo? Nei giorni della scomunica della CEI contro “Weekend” e degli sproloqui di Mario Adinolfi contro “Kung Fu Panda 3”, ecco la storia di un grande autogol del movimento LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender).

UN FILM CONTRO LE ADOZIONI GAY

“Pink. Adopción gay… ¿Acierto o error?” (Pink. Adozioni gay: successo o fallimento?) racconta la storia di un bambino adottato da una coppia gay: il film illustra le sofferenze, assai fantasiose, del piccolo costretto a vivere con due omosessuali. Uno dei suoi papà scoprirà la Bibbia e smetterà di essere gay (sic!), mentre l’altro, che invece non abbandonerà il peccato e quindi per questo sarà punito, scoprirà di avere l’AIDS (sic!!). A proposito di punizioni, o presunte tali: un attivista dei diritti umani che frequenta la coppia, dovrà amaramente riconoscere che il proprio figlio è diventato un effeminato (sic!!!). Insomma, una sceneggiatura raffinatissima, con dialoghi sopraffini. Un esempio? “Che orrore che ci siano bambini che crescono con gli omosessuali: cresceranno con tendenze!” (sic!!!!) [El Economista].

Come ha fatto questo filmetto, ridicolizzato da molti critici cinematografici e ignorato da altri, girato da un regista cristiano integralista che dichiara nientepopodimeno di lavorare direttamente alle dipendenze di Dio, a far parlare di sé in tutto il mondo? Facciamo un passo indietro. Il produttore della pellicola ha chiesto di pubblicare un invito ad andare a vedere “Pink” alla sua amica Yuri, una cantante messicana considerata un’icona dalla comunità gay e conosciuta come “la regina del pop latino” e “la Madonna messicana”. L’artista non aveva visto il film, non sapeva neppure di cosa si trattasse, ma non si è fatta problemi e ha accontentato volentieri l’amico produttore. Senza neppure immaginare che avrebbe così scatenato il finimondo.

IL BOICOTTAGGIO È UN BOOMERANG

Alcuni attivisti gay hanno lanciato una campagna per boicottare la cantante, altri hanno proposto una marcia di protesta. Intanto sul web gli insulti contro Yuri sono diventati sempre più frequenti e pesanti, anche se l’artista ha ribadito il proprio sostegno alla comunità LGBT [Publimetro]. Mentre il pubblico gay messicano si divideva tra chi attaccava e chi difendeva la cantante, la furiosa controversia è finita sui siti gay internazionali, che si sono subito indignati, e da lì direttamente sui siti degli integralisti cristiani in tutta America ed Europa, che ne hanno subito approfittato per urlare agli omosessuali nemici della libertà d’espressione. Per il regista di “Pink” tutta questa baraonda ha significato solo una cosa: una campagna pubblicitaria planetaria e gratuita che non si sarebbe mai potuto sognare.

A volte certe crociate, soprattutto quelle meno meditate e ragionevoli, rischiano solo di mettere al centro dell’attenzione il bersaglio dei propri attacchi. Per esempio, chi avrebbe mai sentito parlare di Paco del Toro senza certe polemiche? E, per tornare in Italia, “Weekend” di Andrew Haigh, nonostante l’entusiasmo dei critici [Internazionale], sarebbe diventato comunque il film con i più alti incassi medi per pellicola [Teodora Film] senza le invettive della Conferenza episcopale italiana (CEI)? Finite le domande retoriche, conviene farsi una domanda vera: quando vale davvero la pena riprendere le stupidaggini di un politico di terzo piano sapendo che purtroppo gli si farà da cassa di risonanza?

 

Pier
©2016 Il Grande Colibrì

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