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Quando ci avanza un attimo di tempo per la continua riprovazione che ci causano le parole e gli atti dei ministri italiani, guardiamo il resto d’Europa e non sono certo tutte rose e fiori, specie se l’occhio punta verso est. Nei giorni scorsi, per esempio, l’Ungheria ha approvato una legge che colpisce le organizzazioni non governative (ONG) e chiunque cerchi di aiutare i richiedenti asilo nel paese, mentre gli articoli della stampa amica del premier Viktor Orbán hanno fatto saltare le 15 serate del musical “Billy Elliot”, accusato di far diventare gay i ragazzi che l’avessero visto…

Sono notizie quasi surreali, ma non inattese dai paesi del cosiddetto “quartetto di Visegrád” (Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria e Slovacchia), che insieme all’Austria e all’Italia pare pronto a sfasciare quel poco che resta del sogno europeo, già messo in crisi da una visione meramente economicistica dell’Unione e da ripetuti episodi di egoismo nazionale.

Ungheria: sentenza pro-transgender

Per fortuna, però, il sistema giudiziario, nonostante siano frequenti i tentativi di addomesticarlo, non sembra essere vittima delle medesime chiusure. E così nei giorni scorsi la Corte costituzionale ungherese ha stabilito il diritto di un rifugiato iraniano transessuale FtM (dal femminile al maschile) a vedersi riconosciuto il genere di elezione, nonostante gli uffici pubblici e diversi tribunali di minor livello avessero sostenuto che il documento del cambio di genere dovesse essere prodotto dal paese dal quale l’uomo è fuggito.

La vicenda si trascina dal 2015, ma è arrivata ora a un punto decisivo, perché la decisione della Corte – che formalmente ha respinto il ricorso del richiedente, salvo poi valutare come incostituzionale l’assenza di una norma che fornisca il riconoscimento legale del genere e il relativo cambio di nome – ha valore per tutte le persone transgender residenti in modo permanente in Ungheria.

E non solo: la sentenza è importante anche per tutte le persone trans del paese, oltre che per gli stranieri. Infatti la decisione conferma che il riconoscimento legale del genere e il relativo cambio di nome sono un diritto fondamentale delle persone trans derivanti dal principio della dignità umana. La decisione sottolinea inoltre che l’intervento medico non è un prerequisito per il riconoscimento legale del genere. Infine, la Corte ha dato tempo al legislatore fino al 31 dicembre di quest’anno perché proponga una nuova legislazione in materia.

Repubblica Ceca: sì ai matrimoni?

E su alcuni temi non ci sono solo i tribunali a far ben sperare. Nella vicina Repubblica Ceca, infatti, una buona notizia arriva direttamente dal governo, che per la prima volta si è espresso a favore dell’introduzione del matrimonio egualitario nel paese, dopo che 46 deputati avevano presentato una proposta in tal senso in parlamento.

Per quanto importante, la benedizione del governo è però molto debole, essendo l’esecutivo ceco in grande difficoltà dopo che il risultato elettorale dello scorso ottobre ha consegnato al paese un parlamento frammentato e dopo che un primo esecutivo di minoranza, guidato dal leader del partito di centro Akce Nespokojených Občanů (Azione dei cittadini insoddisfatti; ANO 2011), Andrej Babiš, è già caduto e il premier sta ora cercando di allargare a sinistra la propria maggioranza.

Una modifica legislativa semplice richiederebbe una maggioranza semplice, mentre per cambiare la costituzione sarebbero necessari almeno 120 voti sui 200 del parlamento ceco. La piccola repubblica mitteleuropea ha già una legislazione sulle unioni civili e diventerebbe la prima dell’ex-blocco filosovietico a introdurre il matrimonio anche per le persone dello stesso sesso.

Il governo è comunque confortato dai sondaggi tra l’opinione pubblica che vedono la metà della popolazione favorevole a questo provvedimento. In più, benché in parlamento sia stata presentata anche una mozione per definire il matrimonio come unione tra un uomo e una donna, nel paese le forze religiose sono tutte piuttosto deboli.

Michele Benini
©2018 Il Grande Colibrì
foto: Cindy Dam (CC BY-NC-ND 2.0)

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