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Barcellona indice un referendum per la secessione della Catalogna che viola la costituzione spagnola. Madrid fa intervenire la polizia in modo clamorosamente sproporzionato e brutale, ferendo centinaia di semplici cittadini e riportando alla memoria gli anni bui di Franco. Barcellona annuncia una dichiarazione di indipendenza unilaterale in base a un voto svolto ben al di sotto dei minimi standard democratici, dal quale la maggioranza dei catalani si è astenuto. Madrid invia (forse) l’esercito. Barcellona chiede aiuto alla Chiesa cattolica. Madrid vieta al parlamento catalano di riunirsi…

La situazione in Catalogna sta degenerando a vista d’occhio, la tensione cresce e il futuro si fa giorno per giorno più incerto. Entrambe le parti sembrano determinate a giocare la carta del “tanto peggio, tanto meglio”, che alimenta le tensioni ma promette buoni ritorni nelle urne elettorali sia per il governo della destra spagnola del Partido Popular (Partito popolare, PP) di Mariano Rajoy, poco amante della democrazia e ancor meno delle autonomie locali, sia per il centro-destra catalano di Convergència i Unió (Convergenza e Unione; CIU), convertito recentemente all’indipendentismo anche per sviare l’attenzione da pesantissimi scandali di corruzione.

Nazionalismo senza omofobia

In tutto questo sconvolgimento quali sono le posizioni del movimento LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersessuali e asessuali)? Prima di rispondere, è necessaria una premessa chiarificatrice: il nazionalismo catalano, rispetto a gran parte degli altri nazionalismi, non si basa su un’ideale uniforme e uniformante dal punto di vista etnico, religioso o sessuale.

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Il nazionalismo “storico”, promosso dalle élite borghesi, da anni si è aperto alle rivendicazioni delle minoranze sessuali, appoggiando politiche pubbliche molto progressiste, anche per sottolineare una certa superiorità rispetto a un governo centrale spagnolo dipinto come retrogrado. In questi anni di crisi economica si è rafforzato anche il nazionalismo di estrema sinistra, fino a pochi anni fa marginale, che vorrebbe far nascere un nuovo stato per tentare di lanciare un progetto rivoluzionario. Qui l’appoggio alla causa LGBTQIA è ancora più entusiasta.

Un movimento frammentato

Detto questo, il sostegno all’indipendenza all’interno del movimento è tutt’altro che monolitico. Solo poche associazioni si sono schierate apertamente, in particolare il Col·lectiu Gai de Barcelona (Comunità gay di Barcellona), che ha fatto campagna per il “sì” e che festeggia il referendum come un grande successo. Pur con più moderazione, ha espresso idee simili anche l’Associació Cristiana de Gais i Lesbianes de Catalunya (Associazione cristiana di gay e lesbiche di Catalogna). A sostenere il referendum, anche se con indicazioni di voto più vaghe, c’era anche il Front d’Alliberament Gai de Catalunya (Fronte di liberazione gay di Catalogna; FAGC), l’associazione più antica della regione, decisamente schierata a sinistra.

“L’abuso ingiustificato della repressione violenta esercitata dal ‘governo’ dello stato spagnolo contro i diritti fondamentali della cittadinanza catalana”, per usare le parole scelte dalla Plataforma LGTBIcat (Piattaforma LGTBI catalana) e dall’Observatori Contra l’Homofòbia (Osservatorio contro l’omofobia) in una dichiarazione congiunta, hanno spinto molte organizzazioni LGBTQIA, spesso piuttosto neutrali sul tema dell’indipendenza, ad aderire allo sciopero del 3 ottobre: hanno chiuso, per esempio, il centro associativo Casal Lambda (che ha invocato comunque la necessità del dialogo), il club sportivo Les Panteres Grogues (Le pantere gialle), la fondazione Enllaç (Collegamento), che si occupa di anziani LGBTQIA, e la sede della Associació Catalana per la Integració d’Homosexuals, Bisexuals i Transsexuals Immigrants (Associazione catalana per l’integrazione di omosessuali, bisessuali e transessuali immigrati; ACATHI).

Non mancano le associazioni che hanno evitato di esprimersi su tutte le questioni relative alla secessione, come l’Associació de Pares i Mares de Gais i Lesbianes (Associazione di padri e madri di gay e lesbiche; AMPGIL), Enruta’t, gruppo che si occupa di formazione degli insegnanti sulle tematiche LGBTQIA, e l’organizzazione dei poliziotti Gaylespol. Quasi nessuno, invece, si è schierato apertamente contro il referendum o per il “no”. Anche perché, nell’attuale clima politico, è molto difficile.

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“Un punto di non ritorno”

Lo dimostra anche la richiesta di Núria (nome di fantasia), una attivista trans catalana: è molto disponibile a dire la sua al Grande Colibrì, ma non vuole essere citata con il suo vero nome. “Si inganna – dice – chi pensa che ne usciremo senza usare la violenza: hanno usato la violenza fisica e psicologica entrambe le parti. Siamo arrivati a un punto di non ritorno”.

Núria fa un ritratto poco lusinghiero dei partiti di Barcellona e di Madrid: “Il PP è un branco di inetti e non porterà niente di nuovo. I partiti indipendentisti come Esquerra Republicana de Catalunya (Sinistra repubblicana di Catalogna), Candidatura d’Unitat Popular (Candidatura di unità popolare; CUP) e CIU vivono di menzogne e si arroccano sempre più sulle loro posizioni. E l’ambiguità di Unidos Podemos (Uniti possiamo) non porterà niente di chiaro”.

L’attivista alla fine voterà il partito di centrodestra Ciudadanos (Cittadini): “Almeno hanno un’idea chiara di stato. Al posto di una guerra civile o di qualcosa di simile, preferisco la pace, anche se comporta compromessi e il fatto di non essere d’accordo con questo partito su alcuni punti. Su questi potremo manifestare e scontrarci, ma in momenti eccezionali servono decisioni eccezionali”.

 

Pier
con la collaborazione di Letizia
©2017 Il Grande Colibrì

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