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La società civile nostrana si è sempre dimostrata sensibile nei confronti dei crimini contro l’umanità perpetrati dai nazisti, ma ha dimenticato che l’Italia ne ha commessi di simili. Ecco un breve resoconto dei crimini coloniali commessi dagli italiani in Libia.

L’inizio dell’articolo 2 della Costituzione italiana recita: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo“. Questa frase, che per noi cittadini moderni sembra scontata, è in realtà una grande conquista. Ci fu un tempo, infatti, in cui l’Italia ignorava questo sacrosanto principio, provando anche ad assoggettare popolazioni straniere per sfruttarne territorio e risorse. Le azioni militari italiane di maggiore rilevanza si concentrano nella fase colonialista.

Nel 1912 l’Impero ottomano cedette all’Italia la Tripolitania e la Cirenaica, regioni ora facenti parte della Libia. Questa decisione non fu presa bene dalla popolazione locale, che insorse contro l’occupazione. Alla fine di quello stesso anno, si contarono 20mila morti tra libici e turchi [1]. Le violenze furono così diffuse da smuovere le coscienze in madrepatria: nel 1913, l’onorevole Filippo Turati espose alla Camera dei Deputati un dettagliato resoconto di ciò che stava accadendo nelle colonie, denunciando l’immane quantità di condanne a morte pronunciate contro la popolazione locale.

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30 turchi uccisi dalle truppe italiane negli anni ’10

Torture e sevizie a Cufra

L’orrore, però, si sarebbe verificato tuttavia una ventina di anni più tardi, nella Cufra appena riconquistata: in questa oasi della Cirenaica più di 200 libici furono impiccati e decapitati. Le fonti parlano anche di tortura: le donne incinte venivano squartate e i loro figli infilzati, ad alcuni furono tagliati i testicoli e mostrati come trofei. Non risparmiarono neppure i bambini, tre dei quali furono gettati in calderoni bollenti [2].

I crimini perpetrati dagli italiani sconvolsero la società civile, tanto che Al Jamia el Arabia, un giornale di Gerusalemme, il 28 aprile 1931 pubblicò un manifesto nel quale si diceva: “Da quando gli italiani hanno assalito quel paese disgraziato, non hanno cessato di usare ogni sorta di castigo […] senza avere pietà dei bambini, né dei vecchi...”.

Deportazioni in Cirenaica

Un ulteriore terrificante capitolo del colonialismo in Libia consiste nelle deportazioni cirenaiche. Nel 1930, infatti, il governatore della regione Pietro Badoglio obbligò 100mila persone ad abbandonare la propria abitazione: “Bisogna anzitutto creare un distacco territoriale largo e ben preciso fra formazioni ribelli e popolazione sottomessa. Non mi nascondo la portata e la gravità di questo provvedimento che vorrà dire la rovina della popolazione cosiddetta sottomessa. Ma ormai la via ci è stata tracciata e noi dobbiamo perseguirla anche se dovesse perire tutta la popolazione della Cirenaica[3].

Dopo aver ottenuto il consenso di Benito Mussolini, Badoglio studiò il trasferimento della popolazione in campi di concentramento siti tra il monte Gebel el-Achdar e la costa. Le motivazioni di questa decisione sono ancora poco chiare ma taluni pensano si trattasse di una strategia per mettere fine alla ribellione senussita.

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Il campo di concentramento italiano di Al-Magrun

Decine di migliaia di morti

La deportazione fu tutto fuorché pacifica: tra il 1930 e il 1931 nella regione si installò il terrore, con l’esecuzione di oltre 12mila cirenaici e il trasferimento forzato di altri 100mila. La marcia fu serrata e durò giorni interi, per oltre mille chilometri attraverso il deserto. I prigionieri furono afflitti dalla fame e dalla sete e chi rimaneva indietro veniva ammazzato a sangue freddo dagli italiani. Un altro tipo di violenza consisteva nell’abbandono nel deserto senza scorte, punizione che spettò anche a donne e bambini [4].

I 90.700 cirenaici che giunsero nei 13 campi di concentramento ebbero una vita grama: lo spazio vitale era poco, così come i viveri e l’assistenza medica. Nonostante l’immagine edulcorata che la propaganda fascista diffuse, secondo la quale i campi erano un’eccellenza di moderna civilizzazione, i morti che si contarono nel 1933, alla loro chiusura, furono 40mila [5].

“Un record sanguinoso”

Le violenze italiane in Libia non furono ignorate dalla stampa internazionale. L’estratto di un articolo apparso nel 1931 su Jugoslavenski List, il quotidiano di Sarajevo, recita così: “Già da tre anni il generale Graziani, con inaudita ferocia, distrugge la popolazione araba per far posto ai coloni italiani. Sebbene anche altri popoli non abbiano operato coi guanti contro i ribelli nelle loro colonie, la colonizzazione italiana ha battuto un record sanguinoso[6].

Il colonialismo in Libia è una pagina estremamente dolorosa per l’Italia, così drammatica che risulta molto facile da dimenticare. Facile è, dunque, cercare le colpe di un mondo in rovina altrove, nella famelica Germania nazista, ripulendosi la coscienza per crimini contro l’umanità che tuttavia sono stati commessi e che hanno stravolto il continente più prossimo a noi.

Emanuele Longobardi
©2019 Il Grande Colibrì
foto: dominio pubblico (1; 2; 3)

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NOTE:
[1] Cfr. Spencer C. Tucker (a cura di), “World War I: A Student Encyclopedia”, ABC-CLIO 2005, p. 946.
[2] Cfr. Gustavo Ottolenghi, “Gli Italiani e il colonialismo: Campi di detenzione italiani in Africa”, SugarCo 1997, p. 60.
[3] Cfr. Archivio centrale dello Stato, Roma, “Carte Graziani”, b. 1, f. 2, sf. 2.
[4] Cfr. Rodolfo Graziani, “Cirenaica pacificata”, Mondadori 1932.
[5] Cfr. Angelo Del Boca, “Italiani, brava gente?”, Neri Pozza 2005, p. 183.
[6] Cfr. ib., p. 191.

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