Skip to main content

Malgrado in molti paesi del mondo l’omosessualità sia fuorilegge, spesso le persone hanno un’idea più o meno chiara di cosa sia e delle cause, generalmente legate a fedi religiose, per cui viene considerata un tabù. Magari le persone non conoscono i termini occidentali, come accade di riscontrare frequentemente con i richiedenti asilo LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer, intersessuali e asessuali) che arrivano dall’Africa sub-sahariana o dal subcontinente indiano. Ma un’idea di quello che le rende diverse queste persone ce l’hanno.

Esistono però anche regimi tanto pervasivi e assoluti da cancellare anche i concetti che possono metterli in crisi. È il caso della Corea del Nord, come emerge dalle memorie – che saranno presto pubblicate in un volume con il titolo “A Mark of Red Honor” (Un segno di onore rosso) – di Jang Yeong-jin, un esule che da vent’anni vive a Seul e che ha scoperto la propria omosessualità a trentasette anni, quando ha letto un articolo sull’argomento proprio dopo il suo arrivo nella capitale sudcoreana.

Jang sapeva di non amare sua moglie e si sente colpevole di “aver rovinato la vita di una donna” e ha più volte nel corso della sua vita cercato di parlare di come era. “Quand’ero all’Università di Pyongyang andai da un neurologo, per cercare di capire perché ero così diverso dagli altri. Ma appena parlai di ciò che sentivo dovetti andarmene perché il medico si mise ad urlarmi contro” racconta nell’intervista alla CNN che anticipa l’uscita del suo romanzo autobiografico.

Fin dalla sua infanzia Jang aveva capito di provare qualcosa di speciale per il suo amico del cuore, con cui mantenne un intenso rapporto anche in età adulta: le rispettive mogli non se ne inquietavano perché sapevano che erano sempre stati molto amici. “Una volta lui venne a trovarci e la notte io lasciai il letto di mia moglie e lo raggiunsi nel suo – racconta ancora il quasi sessantenne nordcoreano – Il mio cuore batteva così forte, mentre dormiva, e non riuscivo a spiegarmi perché mi sentissi così male per causa sua. Allora mi alzai, uscii e vidi una grossa oca che volava sopra la mia testa. Capii che dovevo andarmene”.

Dopo un primo allontanamento verso la Cina nel 1996, Jang tornò in Corea del Nord per poi “tradire” nuovamente il suo paese natale in favore della Corea del Sud, dove capì finalmente cos’era ciò che lo aveva tormentato per tanti anni.

Amichevoli e confusi: i nordcoreani e l’omosessualità

Ovviamente, malgrado non conoscesse né il senso né il significato della sua condizione, che nemmeno poteva definire, Jang vide che c’erano altre persone nella sua stessa situazione e parimenti disperate: “Quand’ero nell’esercito c’era un alto ufficiale che dopo essersi sposato aveva le stesse difficoltà che ho sperimentato e nel mio paese c’era uno che non si è mai sposato: la Corea del Nord tratta queste persone come anormali”.

In Corea del Sud Jang ha dovuto sperimentare altre difficoltà. “Essere uno che ha defezionato dal Nord non è facile per nessuno, ma essere l’unico apertamente gay ad averlo fatto raddoppia i problemi” racconta, aggiungendo che nel 2004 un uomo iniziò una relazione con lui per poi sparire con tutti i suoi risparmi. Ma dopo tante difficoltà Jang non ha perso la speranza di poter vivere come tutti gli altri, amando e viaggiando come fanno tutti. E sperando che la vita cominci a 60 anni.

Purtroppo l’omofobia non risparmia nemmeno la Corea del Sud, dove una potente lobby cristiana ha finora impedito di varare una legge contro le discriminazioni [Il Grande Colibrì]. E dove, purtroppo, Moon Jae-in, ex attivista per i diritti umani e favorito nelle elezioni presidenziali del prossimo 9 maggio, non ha avuto remore di sostenere, durante un dibattito televisivo martedì sera, che “si oppone all’omosessualità”, mentre il suo avversario conservatore Hong Joon-pyo ha affermato che “i soldati gay stanno indebolendo il paese”.

I sostenitori di Moon affermano che, in un paese fortemente conservatore, la sua risposta è stata una necessità, ma le associazioni per i diritti LGBTQIA non sembrano disponibili a far finta di niente: “Le sue parole – spiega l’attivista Jung Yol – possono influire su ciò che pensa la gente. Per questo Moon deve correggere quanto detto in televisione e offrire le sue scuse alle persone LGBT” [Today]

 

Michele
©2017 Il Grande Colibrì

Leave a Reply