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È possibile vincere le elezioni grazie ai diritti LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex e asessuali)? È quanto sembra essere accaduto in Costa Rica, almeno in parte, questo 1° aprile, quando la popolazione si è recata alle urne per eleggere il futuro presidente: un ballottaggio che faceva seguito alle elezioni del 4 febbraio, in cui nessun candidato aveva raggiunto la maggioranza richiesta, e che concludeva una campagna elettorale molto accanita, dal risultato sorprendente.

Nonostante i sondaggi dessero in vantaggio il leader conservatore, Fabricio Alvarado Muñoz, infatti, a vincere il ballottaggio è stato il suo avversario, Carlos Alvarado Quesada, candidato del partito di centrosinistra al governo e sostenitore di politiche progressiste attente al rispetto dei diritti civili, in particolare quelli LGBTQIA.

I diritti al centro della campagna

La peculiarità delle elezioni della Costa Rica, tuttavia, risiede proprio nella rilevanza che i diritti LGBTQIA, e in particolare il matrimonio egualitario, hanno rivestito nella campagna elettorale di entrambi i contendenti.

Alvarado Muñoz, esponente di un partito conservatore fino a pochi mesi fa così ininfluente da non essere neanche citato negli scenari ipotetici, Restauración Nacional (Restaurazione nazionale), nelle elezioni di febbraio ha strappato un notevole 24% proprio grazie alle sue posizioni omofobe e oltranziste, che hanno raccolto intorno a lui la parte più conservatrice dell’elettorato religioso, mentre buona parte del successo di Alvarado Quesada – penalizzato dai legami con l’impopolare amministrazione uscente – è dovuta al suo dichiarato sostegno al matrimonio egualitario.

Braccio di ferro sul matrimonio

Questa polarizzazione dell’elettorato sui temi LGBT va inquadrata nel contesto costaricano: se il resto dell’America Latina ha accolto con semplice interesse la sentenza della Corte interamericana che imponeva a tutti i paesi membri di legalizzare il matrimonio egualitario, in Costa Rica (che aveva sollecitato la consulta ed era quindi coinvolta più direttamente nella risposta) tale sentenza è arrivata nel pieno della campagna elettorale e ha determinato una sorta di terremoto politico.

I risultati delle elezioni di febbraio – che, presidente gay-friendly o meno, hanno decretato la composizione del parlamento e avranno dunque peso nella legislatura – ne hanno risentito moltissimo, tanto che entrambi i candidati al ballottaggio, Fabricio Alvarado Muñoz per Restauración Nacional e Carlos Alvarado Quesada per Partido Acción Ciudadana (Partito azione cittadina), sono volti nuovi di partiti relativamente recenti e devono il loro successo del tutto inaspettato proprio alle (opposte) prese di posizione in merito.

La campagna elettorale ha visto per entrambi gli schieramenti una grande mobilitazione popolare – sia di piazza che sui social media – e ha portato a una riduzione dell’astensionismo, spaccando per molti versi il paese in due.

La minaccia fondamentalista

Ridurre tutto a una questione di diritti LGBTQIA sarebbe una semplificazione, ovviamente, soprattutto se si pensa che i sondaggi non erano molto incoraggianti: The Guardian segnala che, interpellati dai sondaggisti, alla vigilia delle elezioni 7 cittadini su 10 si dichiaravano contrari al matrimonio omosessuale. Spesso, però, l’ostilità dichiarata alle minoranze sessuali è solo uno dei volti del conservatorismo, che in realtà ha mire molto più estese e rappresenta un pericolo per settori molto più ampi della popolazione.

Nel caso di Alvarado Muñoz questo è particolarmente evidente: ex cantante e presentatore televisivo, predicatore evangelico, ha dato una svolta alla sua campagna elettorale quando, a gennaio, dopo il pronunciamento della Corte interamericana, ha dichiarato di essere disposto a fare uscire il paese dall’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) pur di impedire la legalizzazione del matrimonio omosessuale, ma questa presa di posizione – che durante le elezioni di febbraio ha trasformato Restauración Nacional nel primo partito del paese – si accompagna ad altri ideali fortemente conservatori.

Oltre al matrimonio egualitario, suo cavallo di battaglia, Alvarado Muñoz si era impegnato a difendere i “valori tradizionali del paese” e combattere l’aborto, la secolarizzazione dello stato e la cosiddetta ideologia gender, rappresentando quella che è stata definita da alcuni alla Reuters “la più grande minaccia fondamentalista che la Costa Rica abbia mai affrontato”.

Un risultato da contestualizzare

Con questi presupposti diventa più semplice comprendere come, in un paese fiero della propria tradizione di diritti civili (è la più longeva democrazia del continente), ma che si colloca in posizione arretrata rispetto a molti altri paesi latinoamericani in termini di legislazione LGBTQIA, una campagna elettorale di questo tipo abbia portato un risultato tanto inaspettato.

Come sottolinea The Economist, il 62% raccolto da Alvarado Quesada non va letto necessariamente come una dichiarazione dei costaricani a favore del matrimonio egualitario, quanto piuttosto come la scelta di sostenere un presidente progressista attento agli interessi di tutti, rispettoso della legge e in grado – si spera – di portare il paese fuori dal baratro, rispetto a un candidato che sembrava più portato a basare le proprie scelte politiche sulla Bibbia che sulla Costituzione.

La volontà di dialogo di Alvarado Quesada è evidente nelle strategie messe in atto durante la campagna elettorale, non ultima la decisione di chiedere anche l’appoggio del tradizionale partito di centrodestra – il Partido Unidad Social Cristiana (Partito unità sociale cristiana), sconfitto nel primo turno – che, nonostante la scelta di molti dei suoi esponenti di sostenere l’avversario conservatore, gli ha allargato il sostegno tra l’elettorato religioso meno fondamentalista, ma l’ha anche costretto a compromessi come l’impegno a non modificare la legge sull’aborto, che in Costa Rica è estremamente severa e rende la pratica illegale in tutti i casi (stupro e incesto compresi) che non vedano in immediato pericolo la vita della madre.

Una vittoria per i progressisti

Al netto di questi limiti, la vittoria dei progressisti è senza dubbio importante: oltre all’impegno del nuovo presidente verso i diritti LGBTQIA, questa tornata elettorale ha anche visto l’ingresso in parlamento del primo deputato dichiaratamente omosessuale, il giornalista Enrique Sánchez, e soprattutto, per la prima volta nella storia dell’America Latina, la nomina a vicepresidente di una donna di discendenze africane.

Epsy Campbell Bar, politica esperta, economista e attivista per i diritti della popolazione di discendenza africana, sarà la prima donna afro-americana a svolgere le funzioni della presidenza del paese durante le assenze di Alvarado Quesada, un fatto di importanza storica che rappresenta una vittoria per tutti i gruppi anti-razzisti del continente, in un periodo che altrove mostra invece tendenze preoccupanti.

Intanto in Paraguay e Venezuela…

La speranza è che questa vittoria sia di buon auspicio per gli altri paesi latinoamericani che quest’anno si avviano a consultazioni elettorali decisive per l’avanzamento dei diritti LGBTQIA. Il Paraguay, per esempio, il 22 aprile sarà chiamato a eleggere il presidente della repubblica e il candidato del Partido Liberal Radical Auténtico (Partito liberale radicale autentico) Efraín Alegre ha già dichiarato esplicitamente la sua totale chiusura riguardo ai temi dell’aborto e delle nozze gay.

Intanto il candidato dell’opposizione venezuelana, Javier Bertucci, pur essendo personalmente contrario al matrimonio egualitario, ha annunciato l’intenzione, in caso di vittoria nelle elezioni di maggio, di lasciare alla popolazione stessa il permesso di esprimersi in merito tramite referendum popolare. Possiamo solo augurarci che anche questi paesi seguano l’esempio della Costa Rica e che le elezioni imminenti segnino una svolta positiva.

Micol Mian
©2018 Il Grande Colibrì
foto: Luis Manuel Madrigal Mena (CC BY 2.0)

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