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La sentenza della Corte Interamericana dei Diritti Umani (CIDH) – espressa martedì 9 febbraio in seguito a una richiesta della seconda vicepresidentessa della Costa Rica, Ana Helena Chacón – parla chiaro: le coppie omosessuali devono godere degli stessi diritti di quelle eterosessuali e “lo stato deve riconoscere e garantire tutti i diritti derivanti da un vincolo familiare tra persone dello stesso sesso”, senza discriminazione alcuna.

Con il suo pronunciamento la Corte non si limita a un atto retorico: in aggiunta al riferimento esplicito al matrimonio, la sentenza si esprime in termini molto chiari riguardo alle misure da mettere in atto in tutti i paesi – non solo la Costa Rica, dunque – che riconoscono la sua competenza. Tali paesi dovranno infatti ampliare le figure giuridiche esistenti attraverso misure “legislative, giudiziarie o amministrative” volte a inglobare anche le coppie omosessuali e, in caso di “difficoltà istituzionali”, dovranno mettere comunque in atto misure “transitorie” per garantire il rispetto e la parità dei diritti.

Come ha riconosciuto la stessa Chacón, questa presa di posizione molto netta segna uno spartiacque: con la sua sentenza, “la CIDH ha detto che la dignità umana è una sola e che l’uguaglianza dei diritti è indiscutibile; non distingue per orientamento sessuale o identità di genere” [La Prensa]. Un bel passo avanti per un paese che, soltanto nel 2015, aveva fatto notizia per essere stato il primo in tutto il Centro America a celebrare “per errore” le prime nozze gay: due donne sposate in virtù del fatto che, per una svista burocratica, una delle due figurava come “uomo” all’anagrafe [El País].

Diritto al cambio di nome

La sentenza della Corte non riguarda soltanto la parità di diritti per le coppie omosessuali: altrettanto importante è la sezione che interessa la comunità transgender. In merito alla possibilità per le persone transgender di cambiare nome nei registri dell’anagrafe, la Corte impone allo stato di mettere in atto misure repentine, che permettano il cambio di nome rispettando tre criteri: 1) il completo adeguamento all’identità di genere espressa dal richiedente, 2) senza nessuna necessità di pareri medici e/o psicologici, ma con il suo semplice consenso libero e informato e 3) la confidenzialità del procedimento.

La sentenza mira quindi a trasformare, in Costa Rica e negli altri paesi che ancora non hanno operato modifiche in tal senso, il cambio di nome e di genere in un semplice procedimento burocratico e amministrativo ben lontano dalla medicalizzazione o dalla patologizzazione della transessualità [Io Sono Minoranza], svincolandolo anche dalla necessità di una precedente operazione chirurgica o trattamento ormonale.

Un aiuto per le lotte civili

Come accennato, l’opinione della CIDH non sarà vincolante solo per la Costa Rica, che ne ha sollecitato la consulta, ma mira ad avere un impatto profondo anche su tutti i paesi del continente che fanno parte del Sistema Interamericano. Alcuni di questi – Argentina, Brasile, Uruguay e Colombia, oltre a vari stati del Messico – hanno già provveduto negli anni passati a legalizzare il matrimonio egualitario, mentre altri presentano varie forme di unioni civili: l’Ecuador, per esempio, riconosce le coppie di fatto dal 2008, ma proibisce costituzionalmente le nozze omosessuali; in Cile le unioni civili sono legali dal 2015, ma il disegno di legge per il matrimonio è andato in discussione solo nel novembre 2017 e ancora non è stato approvato.

Un discorso simile può essere fatto riguardo al riconoscimento dei diritti transgender: il cambiamento di nome e genere è legale nella maggior parte dei paesi, tra cui a Cuba (che pure non riconosce nemmeno le coppie di fatto e non fa parte dei paesi interessati dalla sentenza della CIDH), ma è talvolta ancora sottoposto a vincoli o requisiti giudiziali e a operazioni chirurgiche (è questo il caso in Cile, Brasile e Repubblica Dominicana, per esempio).

La CIDH non ha il potere di intervenire attivamente sugli apparati legislativi dei singoli stati e la sua opinione non cambierà automaticamente la situazione dei paesi più restii ad accogliere certi cambiamenti. Tuttavia, l’intenzione dei giudici che hanno emesso la sentenza e dei gruppi di attivismo LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersessuali e asessuali) locali va nella stessa direzione: offrire un supporto legale e giuridico alle varie battaglie per i diritti civili, sostenendole e incoraggiandole.

La Costa Rica, ma non solo

Questo è lo spirito con cui è stata intesa in vari paesi: in Perù – dove il presidente Kuczynski ha espresso più volte l’intenzione di approvare le unioni civili, senza mai dare inizio ai procedimenti – il presidente della Corte suprema di giustizia, Duberlí Rodríguez, ha già affermato che il paese dovrà adeguarsi al resto del Sistema Interamericano, rispettando la decisione della Corte Interamericana [Panamericana].

In Honduras, uno dei paesi con la legislazione più discriminatoria, che a livello costituzionale considera illegali le unioni civili e non riconosce il cambiamento di genere, gli attivisti per i diritti delle minoranze sessuali hanno già chiesto alle autorità di tener conto della sentenza [La Tribuna].

Rihanna Ferrera Sánchez, direttrice dell’Asociación de Derechos Humanos Transexual (Associazione dei diritti umani transessuale) dell’Honduras, che lo scorso autunno è stata la prima donna transgender a presentarsi alle elezioni (e ha dovuto farlo, purtroppo, utilizzando il nome maschile ancora registrato all’anagrafe) [El Heraldo], considera la sentenza della Corte un “precedente storico” che spera aiuterà la comunità LGBTQIA a ottenere dallo Stato il riconoscimento dei diritti civili di cui i suoi membri ancora non godono. Non solo il matrimonio, dunque, ma anche la possibilità di accedere alle agevolazioni concesse ai nuclei familiari, di ricevere eredità e pensioni spettanti ai partner, e in futuro persino di adottare dei bambini.

L’augurio, dunque, è che questa presa di posizione importante marchi davvero l’inizio di una nuova fase per una regione estremamente variegata come quella centro e sudamericana, dove la comunità LGBTQIA si trova a vivere situazioni molto differenti, sia dal punto di vista legislativo che da quello dell’integrazione sociale. La sentenza della Corte Interamericana potrebbe essere il primo passo verso un adeguamento delle varie realtà in una direzione positiva.

Micol
©2018 Il Grande Colibrì

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