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“Hic sunt dracones”, qui ci sono i draghi: a leggere i principali siti di informazione, verrebbe da usare per il Sudan questa frase con cui i cartografi medievali indicavano le terre ancora inesplorate. Il paese africano, in Occidente, è poco conosciuto, avvolto in un silenzio tinto di indifferenza più che di mistero.  Qualche attenzione l’ha catturata in passato il Darfur, vasta regione sudanese teatro da quasi un decennio di atroci violenze, ma poi anche su questo conflitto è calato il silenzio. Degli omosessuali in Sudan, poi, non si è mai sentito parlare… almeno fino al 9 febbraio 2012, quando Mohammed ha fondato Rainbow Sudan, il primo gruppo e sito internet LGBTQ* del paese.

Mohammed, uomo gentile e poeta incantevole, racconta a Il grande colibrì la realtà di un paese in trasformazione, ancora indeciso tra oscurantismo e laicità, democrazia e dittatura. “Pensa che anni fa, fino ai primi anni ’80, essere gay non era un problema: l’omosessualità era comune nella società, tra gli atleti, gli intellettuali, gli artisti… I cantanti da matrimonio erano spesso gay ed erano molto popolari. Poi sono arrivate le nuovi legge islamiche…“. Era il 1983: il presidente Ga’far Muhammad an-Nimayri impose che il codice penale incorporasse le norme della sharia, interpretate nel senso più integralista.

Mohammed racconta: “I rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso sono illegali in Sudan. Secondo l’articolo 148 del codice penale, basato sulla sharia, gli uomini omosessuali sono puniti con la fustigazione alla loro prima  infrazione, mentre dopo la terza infrazione rischiano la pena di morte. Ci sono persecuzioni molto pesanti, come in occasione di un matrimonio a Omdurman. Per uno show di cross dresser a Khartoum, comminarono una pena fatta di frustate e multe da mille sterline sudanesi“.

La mia generazione è molto confusa e persa: da una parte c’è la repressione sociale e religiosa, dall’altra la consapevolezza di sé“. Mohammed è cresciuto negli anni più difficili, quando montava l’onda islamista e non c’era Internet a distribuire informazione in tutto il mondo. “I ragazzi della nuova generazione sono invece più informati, sanno bene cosa significa essere gay e si organizzano in piccoli gruppi“. Comunque, non è facile neppure per loro essere LGBTQ* in Sudan: “Non puoi immaginare il livello di discriminazione che puoi subire per il solo fatto di essere gay. Parlano male di te, ti chiamano luti (sodomita), che è una parola che viene usata come insulto“.

I media sudanesi parlano di omosessualità e di transessualità molto raramente e sempre con toni molto negativi: “L’ultima volta è successo un paio di mesi fa, a proposito della diffusione dell’omosessualità nelle scuole e tra gli adolescenti“. La sessualità in generale è considerata un argomento di cui parlare non in tv, ma in privato, “con le porte chiuse“. Non si parla neppure di AIDS, sebbene “il Sudan abbia una delle più estese popolazioni di persone che vivono con l’HIV nel Medio Oriente e in Africa del Nord“.

E’ in questo contesto difficile che Mohammed ha deciso di impegnarsi per i diritti delle persone LGBTQ*: “L’idea di Sudan Rainbow me l’ha data un mio carissimo amico. Abbiamo iniziato a lavorarci insieme e anche adesso mi aiuta molto in questo progetto. Ora abbiamo un paio di gruppi che lavorano online e offline. Formiamo una piccola rete di persone che lavorano in modo organizzato per far avanzare il più possibile la questione LGBTQ*, per far capire chi siamo, per fermare la discriminazione e far riconoscere i nostri diritti. Forniamo educazione sessuale, sostegno psicologico ed emotivo, protezione. Facciamo tutto questo e cerchiamo di farlo meglio che possiamo“.

Gli attivisti di Sudan Rainbow sono impegnati per i diritti di tutti (donne, bambini, profughi, minoranze…). “I diritti delle donne e dei bambini non sono mai riconosciuti, anzi c’è un numero allarmante di violazioni e di abusi sui minori. La situazione cambia molto tra la capitale Khartoum e altre zone del Sudan: qui le donne hanno più diritti che nelle aree rurali, dove ancora le donne non vanno a scuola e i bambini devono lavorare per sostenere la famiglia. La povertà è ed è sempre stata il principale problema del Sudan“.

La visione di Sudan Rainbow è incredibilmente vasta e generosa, tanto che membri del gruppo partecipano alle manifestazioni più disparate e anche pericolose, come quelle che hanno portato all’assassinio di quattro studenti in Darfur (Il grande colibrì). La loro battaglia è a tutto campo, in un paese in subbuglio come il Sudan: “Dal 2011 si sono susseguite moltissime dimostrazioni, proteste e rivolte in tutto il Sudan. Il governo ha disperso con la violenza le proteste, soprattutto giovanili, contro le misure di austerità e le politiche del partito di maggioranza. Le forze di sicurezza hanno arrestato e detenuto un gran numero di sospetti oppositori, tra i quali molti studenti, che vengono poi malmenati e torturati, come è successo per i quattro ritrovati uccisi“.

La situazione politica è gravissima: “Recentemente ci sono stati due tentativi di colpo di stato militare, uno dei quali è stato condotto dall’ex capo dei servizi segreti, il generale Salah Abdallah Gosh. E la tensione è salita ancora di più dopo che, ad ottobre, Israele ha distrutto una fabbrica di armi a Khartoum e alcune navi militari iraniane si sono avvicinate alle coste del Sudan. L’opposizione reclama un ruolo nel processo costituente e chiede elezioni“.

E’ in questo quadro drammatico che si svolge il lavoro di Rainbow Sudan: “In Sudan siamo solo ai primissimi passi per iniziare a discutere di omosessualità. Ci muoviamo a passo di neonato. Avevamo stabilito alcuni contatti con alcuni partiti politici e avevamo iniziato a confrontarci, ma poi sono scoppiate le proteste e sono stati uccisi gli studenti. In questo momento il paese non è pronto ad aprirsi alle tematiche LGBTQ*, ma non abbiamo perso la speranza di farcela“.

Mohammed non perde mai la propria gentilezza e dolcezza, non perde mai la speranza quasi “folle” dei poeti che cambiano davvero il mondo, anche se è pienamente consapevole delle avversità che deve affrontare in Sudan e non solo: “Conosco quello che sta succedendo nel resto dell’Africa solo seguendo le notizie, ma mi sembra che il trend omofobico del nostro continente, così diverso dalle aperture in Occidente e in gran parte d’Europa, sia dovuto a fattori politici e religiosi. Alcune organizzazioni conservatrici cristiane appoggiano le leggi antigay in Uganda e in Nigeria perché stanno perdendo la battaglia in Occidente, per questo ora si concentrano sull’Africa“. Nuvole sempre più scure si addensano sull’Africa, ma in Sudan e in tutto il continente attivisti coraggiosi stanno lavorando per far splendere l’arcobaleno…

 

Pier
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