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Il prossimo 7 ottobre in Romania si voterà un referendum molto divisivo per ratificare una modifica alla costituzione affinché il matrimonio non sia più definito come “l’unione di due persone“, ma esplicitamente “tra un uomo e una donna: in questo modo sarà richiesta un’analoga procedura di riforma costituzionale per l’approvazione di qualsiasi forma di matrimonio egualitario.

Odio di stato

In parlamento la proposta, che era stata praticamente ignorata per due anni, è stata approvata dalla quasi totalità delle forze politiche, con l’eccezione del partito, di nuova costituzione, Uniunea Salvați România (Unione salva Romania; USR). Secondo il leader del partito, Dan Barna, “questo referendum non risolverà nessuno dei problemi della Romania“. Barna ha poi aggiunto: “Il Partidul Social Democrat (Partito Social Democratico; PSD) [che governa il paese; ndr] sta portando avanti questa battaglia per una sola ragione: distogliere l’attenzione dai suoi continui attacchi all’indipendenza della magistratura“.

Tra le critiche che vengono mosse ai socialdemocratici, oltre a quella di opportunismo, c’è anche l’ipocrisia: si dice che il partito abbia trovato rifugio nei cosiddetti “valori tradizionali“, ma si fa notare il fatto che il loro leader, Liviu Dragnea, che ha avuto anche problemi con la giustizia, ha divorziato e si è sposato nuovamente con una donna “più giovane di suo figlio“, mentre il suo alleato di governo Calin Popescu-Tariceanu è al quinto matrimonio.

Iustina Iunescu, un’avvocata dell’associazione LGBTQIA Accept (Accettare), ha detto che la campagna referendaria sarà un’altra occasione per portare avanti “l’odio di stato contro le persone gay, lesbiche, bisessuali e transgender, e contro le famiglie monogenitoriali“.

Effetto domino

La modifica costituzionale era stata avviata nel 2016 dall’associazione ultrareligiosa Coaliția pentru Familie (Coalizione per la famiglia), che revendica la raccolta di quasi 3 milioni di firme sulla proposta referendaria. Il gruppo di pressione si dichiara contrario ad aborto, divorzio, contraccezione, inseminazione artificiale, educazione sessuale e vaccinazione.

Si teme che, vinto il referendum, si possa verificare un effetto domino sui diritti civili in Romania, sempre mediante riforma costituzionale, a cominciare dai diritti delle donne, dato che la Coalizione ha chiesto a gran voce di non ratificare la Convenzione di Istanbul contro la violenza domestica.

Senza quorum

Amnesty International, l’European Commission on Sexual Orientation Law (Commissione europea sulle leggi sull’orientamento sessuale) e ILGA Europe (la branca europea dell’International LGBTI Association; Associazione LGBTI internazionale) hanno comunque annunciato un ricorso per cercare di impedire il referendum sul matrimonio, che avrebbe come probabili conseguenze “maggiori restrizioni nella vita privata e familiare delle coppie omosessuali e discriminazioni nella vita quotidiana“.

Ma, tenendo conto dello schieramento di forze a favore della riforma omofoba, sembra che l’unico reale modo per sconfiggere il referendum potrà essere quello di far mancare il quorum, che in Romania è del 30% (ma si deve considerare che l’affluenza alle urne nelle ultime elezioni politiche, nel 2016, è stata del 39%).

Alessandro Garzi
©2018 Il Grande Colibrì
foto: Adina Voicu (CC0)

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