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Tempesta Editore ha dato alle stampe il bel libro di Sara Kay “Genitori GAY – Good As You” (172 pp. 15 €), una raccolta di brevi saggi e interventi di esperti che, adottando il punto di vista della propria disciplina (giurisprudenza, psicologia, antropologia, sociologia, pedagogia…), interpretano il fenomeno sempre più importante dell’omogenitorialità (ilgrandecolibri.com). Il grande colibrì pubblica qui sotto l’intervento di Federico Ferrari, psicologo e psicoterapeuta sistemico-relazionale tra i maggiori esperti di identità sessuale e di famiglie omogenitoriali in Italia. Con lui abbiamo già discusso in passato di terapie riparative, in occasione dell’uscita del libro “Guarire i gay?” (Raffaello Cortina, 266 pp., 24 €) di cui è co-autore insieme a Paolo Rigliano e Jimmy Ciliberto (ilgrandecolibri.com), e dei danni psicologici che la diffusione dei video delle torture omofobiche in Russia poteva causare alle vittime (ilgrandecolibri.com).


Esistono innumerevoli configurazioni familiari “omogenitoriali”, con specificità, bisogni e buone prassi diverse. E’ molto diverso parlare di famiglie “omogenitoriali ricomposte”, in cui una coppia omosessuale ha avuto figli da un precedente matrimonio o invece di famiglie a fondazione omosessuale, in cui una coppia lesbica o gay ha avuto dei figli suoi, tramite procreazione medicalmente assistita. Ancora diverse sono le famiglie a fondazione allargata (tri o tetragenitoriali), in cui la co-genitorialità è condivisa da due coppie omosessuali o da una coppia omosessuale e una persona di sesso diverso.

Ciò che tutte le formazioni familiari hanno in comune è che la loro funzionalità non dipende dal sesso dei genitori, ma dalla loro capacità di amare, prendersi cura e offrire contenimento ai figli, nonché dalla qualità delle relazioni tra le diverse figure genitoriali. In genere le difficoltà nascono dai tentativi di nascondere agli altri qualcosa che è perfettamente evidente ai figli, invece di offrire loro gli strumenti per parlarne liberamente e con piena cognizione. È quindi fondamentale che ogni conformazione familiare venga riconosciuta nella sua liceità e rimandata ai bambini come “buona” e degna di riconoscimento.

Come già nel 2006 ha affermato ufficialmente la American Academy of Pediatrics, il riconoscimento legale delle coppie omosessuali e la possibilità per il genitore non biologico di adottare il proprio figlio, rappresentano un passo fondamentale e necessario a garantire questi bambini: tanto nel dare loro la sicurezza di una rete solida di relazioni di fronte alle avversità, quanto nell’offrire loro un senso di concreto riconoscimento e una tutela definitiva dal dubbio che le loro famiglie siano per qualche ragione di serie B.

Quando i genitori sono aperti rispetto alla loro omosessualità e si rivolgono preventivamente alla scuola per preparare il terreno (così che gli insegnanti non si trovino impreparati), e trovano dall’altra parte insegnanti pronti ad ascoltare e soprattutto a farsi garanti affinché la realtà familiare specifica dei bambini sia sempre rispettata (nella trattazione del programma, ma anche di fronte ai compagni), non si va incontro a particolari problemi. In Italia, il contributo dell’associazione Famiglie Arcobaleno è in questo senso fondamentale, poiché aiuta i genitori a trovare l’approccio più adatto, a partire dall’esperienza, e offre risorse alle insegnanti su come comportarsi, anche attraverso importanti occasioni di formazione.

In tal proposito, dal 2006 a oggi, ci sono stati almeno tre bellissimi convegni nazionali (organizzati con le università di Bergamo, Bologna e Foggia), che hanno segnato un crescendo di interesse per l’argomento. I figli delle famiglie omogenitoriali sono sereni come lo sono quelli delle famiglie eterogenitoriali. Sono molto consapevoli del fatto di venire da famiglie considerate “differenti”, qualche volta si trovano di fronte all’incredulità dei compagni, che si fanno portatori dei pregiudizi dei propri genitori. E’ una situazione che, sotto questo punto di vista, assomiglia a quella dei figli di famiglie migranti.

I figli di genitori omosessuali possono talvolta incontrare attacchi contro la loro famiglia, ma trovano di solito a casa delle competenze specifiche su come fare i conti con il pregiudizio (i loro genitori hanno dovuto affrontarli prima di loro), e soprattutto dei genitori estremamente vigili rispetto a questo. Questo spiega i risultati della ricerca scientifica che vedono i figli di genitori omosessuali particolarmente “resilienti”, cioè capaci di superare le difficoltà, non bambini che non vengono mai discriminati (questo purtroppo finché non avremo una legge contro l’omofobia sarà difficile), ma bambini che hanno risorse (anche familiari) sufficienti per essere sereni, nonostante le eventuali discriminazioni.

Perché ci sono tra i miei colleghi psicologi pareri molto discordanti sull’argomento? La psicologia si poggia spesso su degli assunti molto difficili da mettere in discussione. Ancora oggi, nonostante quaranta anni di ricerca scientifica, i cui risultati sono massivamente concordi nel ribadire che non esiste evidenza alcuna di disagi particolari dovuti all’omosessualità dei genitori, i detrattori dell’omogenitorialità si aggrappano a concetti mai provati scientificamente come “l’Edipo” e l’idea che l’identità di genere degli individui si plasmi come “identificazione e differenziazione” dal genere dei genitori, che dunque dovrebbero essere necessariamente di sesso diverso. Come se l’individuo crescesse in una bolla isolata con i suoi genitori e nessun altro.

In realtà è proprio l’evidenza della ricerca sulle famiglie omogenitoriali che ci obbliga a considerare delle ipotesi diverse. Per esempio, sembra essere fondamentale il rapporto con i pari, ma anche con gli insegnanti, la famiglia allargata, e naturalmente l’intero immaginario culturale, oggi, in particolare, i media. I vantaggi del crescere in famiglie omogenitoriali sembrano essere una maggiore apertura mentale e, in generale, un maggior rispetto delle differenze. In questo la ricerca scientifica sembra confermare il senso comune.

Per quanto riguarda le famiglie tri e tetra parentali, da un lato condividono molte delle dinamiche delle famiglie “tradizionali” ricomposte, quelle cioè con genitori separati che hanno trovato un nuovo compagno o una nuova compagna e condividono con lui o lei le responsabilità quotidiane della crescita dei figli. D’altro canto le famiglie omogenitoriali a fondazione allargata si distinguono nettamente, poiché l’estensione della cogenitorialità oltre la coppia non nasce da un conflitto o da una separazione, e in questo senso i rapporti possono risultarne facilitati.

In Francia questo tipo di famiglie è molto più frequente che in Italia. Questo forse perché nel nostro paese tendiamo a sentirci particolarmente legati alle forme familiari mono-nucleari con una coppia genitoriale o un genitore single. La ragione di questa preferenza potrebbe riguardare il fatto che le famiglie mono-nucleari rimandano maggiormente a un’immagine tradizionale di famiglia, ma ciò che mi sembra più rilevante è che sono certamente strutture più semplici e in cui le dinamiche relazionali risultano più facili da governare (due genitori fanno prima a mettersi d’accordo di quattro).

Chiaramente tutte le persone omosessuali, cresciute in un contesto che non prevede per loro una realizzazione affettiva e familiare, sono esposte all’eventualità di condividere tali pregiudizi. Molti gay e molte lesbiche arrivano a accettarsi avendo investito un progetto di futuro senza figli, avendo fatto il “lutto” di questa possibilità. Quando questa eventualità si riapre, impone di rifare i conti con una serie di assunti e di pregiudizi che alla fine si erano accettati.

Quando una coppia si trova su posizioni differenti rispetto al desiderio di coronare il proprio amore formando una famiglia, questo può aprire a delle tensioni su tutta una serie di rappresentazioni e di valori. Anche quando un’informazione scientifica corretta in merito smonta i pregiudizi acquisiti negli anni e permette di recuperare eventuali desideri di maternità o di paternità, può rimanere una certa sensibilità al pregiudizio sociale, un timore profondo di non essere adeguati.

Il che, a ben vedere, è un timore molto sano per chiunque affronti il difficile compito di genitore, poiché se è accompagnato alle risorse necessarie a una forte assunzione di responsabilità verso i propri figli, garantirà la capacità di mettersi in discussione e di rimanere sempre in ascolto dei bisogni dei bambini. L’unico rischio in questi casi è di mettere i figli su un piedistallo e faticare a porre dei limiti netti, il che, d’altra parte, è quello che sta succedendo in generale alle famiglie contemporanee di ogni genere.

La mia ipotesi è che tra 10 anni, se il percorso di accettazione e tutela sociale dei diversi orientamenti sessuali continuerà in Italia come nel resto d’Europa, saranno molte di più le persone omosessuali che creeranno una famiglia nella consapevolezza del proprio orientamento con un partner dello stesso sesso e molte di meno quelle che si sentiranno obbligate a seguire una strada che non gli appartiene per poi realizzare la propria identità in un secondo momento, ma immagino che i numeri complessivamente non cambieranno molto.

Il fatto è che i numeri non hanno grande importanza. Ogni famiglia è unica e deve essere tutelata, poiché la qualità delle sue relazioni e del futuro dei suoi figli non dipende dal sesso dei suoi componenti, ma dalle risorse che quella famiglia ha a disposizione e dalla sua capacità di farvi ricorso.

 

Federico Ferrari
si ringraziano anche Sara Kay e Tempesta Editore

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