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Malgrado in India, ci siano stati film in cui trapelava qualche scena omosessuale come “Silsila” (Serie), o il molto più esplicito “Dunno Y… Na Jaane Kyon” (Non so perché), Bollywood non è per tutti.

Pochi giorni fa il Central Board of Film Certification (Consiglio centrale di certificazione dei film; CBFC), l’ente statale che si occupa della censura e dell’approvazione dei lavori cinematografici, non ha dato la certificazione al film di Alankrita Shrivastava “Lipstick Under My Burkha” (Rossetto sotto il mio burqa), che parla di donne che vivono in situazioni diverse e che cercano di superare le pressioni della società.

Ora il CBDC ha dato il colpo di grazia anche a Jayan Cherian, direttore e produttore del film “Ka Bodyscapes”. Il film in questione ci presenta la vita di tre uomini (il pittore gay Haris, il giocatore di kabaddi Vishnu e il loro amico attivista Sia) che lottano per trovare il loro posto in un ambiente conservatore.

Lo stesso regista pubblica sul suo profilo Facebook la motivazione della certificazione negata da parte del CBFC: sostanzialmente si denunciano la celebrazione dell’omosessualità e dei rapporti omosessuali, la nudità, l’offesa alla religione con esplicite scene di volgarità e oscenità. Inoltre si denuncia un linguaggio costantemente offensivo e la rappresentazione di una donna musulmana che si masturba. Sebbene in un primo momento la Corte Suprema del Kerala avesse deciso di approvare il film, chiedendo però alcuni tagli, il CBFC è andato fino in fondo per arrivare al divieto [The Indian Express].

Invece “Sisak”, un film “muto” che mostra come è innamorarsi di una persona dello stesso sesso (in questo caso due uomini), sembra non aver incontrato ostacoli da parte del CBFC, ma dal canto suo non è stato facile trovare un direttore. Il regista Faraz Arif Ansari ha dovuto accettare molti rifiuti da ogni angolo del paese: “Gli piaceva la sceneggiatura, erano entusiasti del progetto, ma poi non avevano il coraggio di fare satira socio-politica sull’omosessualità” dice Ansari [Gay News Europe].

Perché questa differenza di trattamento? Il pubblico indiano è abituato da tempo a vedere baci omosessuali sugli schermi, quindi molte persone sono vicine a Cherian e non si spiegano la contrarietà al suo film.

Certo è che “Sisak” è meno esplicito. “Sisak” è il primo film “in silenzio” sull’omosessualità in India e dice, senza una parola, che la comunità LGBTQI (lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer e intersessuali) c’è. E forse, mi piace pensare, vuole dire che qualcuno, quelle parole, ogni giorno le toglie a chi è omosessuale e non può vivere la propria vita: che sia il paese o la famiglia, qualcuno che strozza il grido d’amore di una persona LGBTQI c’è, e questi film dovrebbero essere proiettati sullo schermo dell’universo, per poter mostrare a tutti certe realtà.

Dall’ambiente cinematografico facciamo un salto verso quello fotografico. A mostrare che i gay esistono eccome in India, ci pensa Liam Campbell, direttore, fotografo e fondatore di Elska Magazine. Campbell fotografa persone omosessualinelle più disparate città del mondo. Recentemente è approdato a Mumbai, ha fotografato 15 uomini per le vie della città e nelle loro case e ora accanto alle foto possiamo trovare il racconto personale di ognuno di loro. Campbell ha dichiarato ad Advocate: “Abbiamo capito quanto siano invisibili gli uomini gay in Asia, soprattutto in Asia meridionale”.

E Campbell ha ragione. Nonostante il terzo sesso riconosciuto, nonostante sia la patria del primo principe dichiaratamente gay, Manvendra Singh Gohil, nonostante sviluppi progetti nelle scuole contro la discriminazione misogina, omofoba [Il Grande colibrì] e transfoba [Il Grande Colibrì], nonostante il boom economico e lo sviluppo culturale, l’India, la più grande democrazia del mondo, è ancora un paese conservatore.

Un paese che si porta dietro, come già abbiamo ricordato più volte, una legge britannica di epoca coloniale, la Sezione 377, che da quasi 160 anni criminalizza i rapporti omosessuali. Nel 2009 un tribunale rese questa legge incostituzionale, ma nel 2013 la legge venne ripristinata e gli omosessuali tornarono a sentirsi dei criminali. Vi ricordate l’articolo sul Grande Colibrì sugli stupri su una persona dello stesso sesso? Ecco, in India, se sei gay, sei invisibile anche davanti alle violenze.

L’India, insomma, è un paese dalle mille contraddizioni, dove se sei hijra (una persona biologicamente maschile, ma che sente di appartenere a un “terzo sesso” e che assume abbigliamento e atteggiamenti socialmente identificati come femminili) difficilmente avrai un lavoro che non sia intrattenere gli ospiti in qualche festa con balli e canti, ma sarai quasi venerata perché ti credono detentrice di poteri positivi. È strano: per chi appartiene al “terzo sesso” sono stati creati, per esempio in molti edifici pubblici, bagni appositi dove non sentirsi discriminate, ma poi non si può accedere a molte mansioni lavorative anche se si hanno tutte le qualità.

 

Ginevra
©2017 Il Grande Colibrì

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