Skip to main content

Oggi proviamo a fare un giro in un’edicola specializzata in riviste LGBTQ* da tutto il pianeta. Cosa notiamo? Ehm… no, lasciate stare quei giornaletti, nella sezione a luci rosse magari ci tornate dopo, va bene? Allora, dicevamo: cosa notiamo osservando le copertine delle principali riviste (non pornografiche) omosessuali del mondo? Tanti maschietti, qualche femminuccia… Nulla di strano? Non manca nessuno? Ne siete proprio sicuri? Ok, un piccolo aiuto: sulle copertine delle riviste rainbow quanti colori potete vedere? Quanti colori della pelle? Ecco, ora è chiaro: questo mese, a parte la statunitense The Advocate, con il rapper Frank Ocean fresco di coming out, e l’italiana Pride, le cover girl ed i cover boy, sconosciuti o famosi che siano, sono tutti bianchi. E non è che di solito le cose cambino granché…

Sorpresi? Non molto, immagino. D’altra parte si sa, le “minoranze etniche” (che continuano a sentirsi affibbiato questo nome nonostante siano minoranze solo negli stati occidentali, e non in tutti) hanno più problemi ad accettare la diversità sessuale e le stesse persone LGBTQ* nere, asiatiche, latino-americane, arabe ed inuit non ammettono con se stesse il proprio orientamento in contrasto con la propria cultura conservatrice e machista e quindi figurati se… Insomma, per farla breve: è normale che sulle copertine delle riviste, nei direttivi delle associazioni, sulle piste da ballo delle discoteche rainbow d’Occidente l’arcobaleno dei coloriti cutanei sia predominato dal bianco, con tendenze all’effetto Scolorina in paesi come l’Italia.

Però forse l’abbiamo fatta fin troppo breve. Leggiamo allora l’ultimo report di Gallup, uno dei centri di sondaggi più autorevoli al mondo. Negli Stati Uniti solo il 3,2% dei bianchi non ispanici si dichiara lesbica, gay, bisessuale o transgender. Lo stesso fanno il 4% degli ispanici, il 4,3% degli asiatici e il 4,6% dei neri. Volendo interpretare parte delle non risposte come possibile segnale di omofobia interiorizzata (o robe simili), i dati non variano molto: per i bianchi si oscilla dal 3,2 al 6%, per gli ispanici dal 4 al 9,8%, per gli asiatici dal 4,3 all’8% e per i neri dal 4,6 al 9,9%. Insomma, il dato è chiaro: “Gli individui che non sono bianchi è più probabile che si identifichino come LGBT”. Sorpresa: omosessuali e transessuali “coloured” sono meno visibili, ma non solo esistono: sono proporzionalmente di più.

E a proposito di sorprese, sondaggi e “razze” (negli USA il termine si usa ancora e non ha connotati spregiativi), ecco un altro importante centro di ricerca che ha appena sfornato i suoi dati: secondo il Pew Forum, tra le principali etnie del paese, quella latino-americana è la più favorevole in assoluto al riconoscimento del matrimonio tra persone dello stesso sesso (52% contro la media nazionale del 48%). Non solo: se il 44% degli statunitensi si oppone alle nozze omosessuali, questa percentuale precipita al 34% tra gli ispanici. Alla faccia dei sacerdoti che, nelle chiese frequentate soprattutto da latinos, tuonano contro le leggi per i diritti degli omosessuali nel 38% dei casi.

Purtroppo, però, le cose non vanno così bene nella comunità afro-americana, dove, secondo una rilevazione del Pew Forum del luglio di quest’anno, solo il 39% si dichiarava a favore del matrimonio gay. E’ vero che la percentuale è in costante salita, ma tra i neri l’omofobia sembra davvero molto più forte. Lo testimoniano le titubanze di molti rappresentanti religiosi della comunità che, proprio a causa del programma favorevole alle persone LGBTQ* del democratico Barack Obama, non vogliono esprimersi a suo favore, nonostante i Repubblicani, con la loro ennesima virata verso l’estrema destra, abbiano fatto del razzismo uno dei loro (non troppo dichiarati) cavalli di battaglia.

Ma se alcuni pastori evocano addirittura una “democrazia dei morti” e denunciano “oscure interpretazioni” bibliche (quelle a favore dei diritti LGBTQ*, dal loro punto di vista), altri concordano con il noto pastore nero Delman Coates: “Noi uomini di fede abbiamo il diritto di esprimerci nell’arena pubblica, ma non abbiamo il diritto di imporre sugli altri le nostre personali convinzioni religiose, quando si parla di politiche pubbliche. L’uguaglianza nel matrimonio è prima di tutto una questione di politiche pubbliche, non una questione teologica” [Black Voice News]. Amen.

 

Pier
©2012 Il Grande Colibrì

One Comment

Leave a Reply