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Molti paesi dell’est ex-comunista non cessano di creare problemi all’Unione europea. E se l’attenzione dei governi è focalizzata sul mercato e su improbabili raggiungimenti di standard economici che possano un giorno allargare la base di scambio dell’euro, non certo inferiore è la preoccupazione (che purtroppo vede in primo piano solo le organizzazioni umanitarie come Amnesty International) riguardo i diritti umani.

Da questo punto di vista sono particolarmente gravi la situazione russa e quella ungherese: e quest’ultima dovrebbe essere ancor più monitorata, essendo il paese magiaro membro effettivo dell’Unione. Negli scorsi mesi sono state molteplici le iniziative legislative della maggioranza di destra al governo in Ungheria tese a colpire alcuni gruppi minoritari, a partire dagli omosessuali fino agli zingari (Il grande colibrì). E ancora la scorsa settimana il partito radicale nazionalista ha proposto un emendamento che ricalca il triste precedente di San Pietroburgo, per impedire la “propaganda della devianza sessuale” e “proteggere i giovani dai comportamenti omosessuali, transessuali, di travestitismo, bisessuali e pedofili“(Politics.hu).

Di fronte a questo succedersi di restrizioni (stabilite o in fase di discussione) l’Europa, che pure non manca di possibili forme di pressione, preferisce tenere un basso profilo e lanciare, di quando in quando, qualche generico ammonimento al rispetto delle identità di genere e di etnia. A cercare di smuovere le acque, chiedendo al proprio governo di intervenire, è la principale associazione LGBT svedese per i diritti delle persone omosessuali, bisessuali e transgender, la Riksförbundet för homosexuellas, bisexuellas och transpersoners rättigheter (RFSL), che ha lanciato un appello in cui chiede che il paese scandinavo protesti formalmente contro “proposte che violano i diritti umani fondamentali” e che, “se attuate, contravverrebbero alla Carta dei diritti fondamentali dell’UE“, come osserva la portavoce di RFSL Ulrika Westerlund (Qx).

In questo clima non stupisce l’annuncio di un paio di settimane fa del divieto, da parte della polizia, di autorizzare il Gay Pride previsto il prossimo 7 luglio (LGBT Weekly) con la scusa che sarebbe d’intralcio alla libera circolazione, che è stato però cassato da una decisione della Corte municipale di Budapest, la quale ha fatto notare come la circolazione pubblica può essere deviata come accade in caso di maratone o gare ciclistiche e per questo gli organizzatori hanno deciso di portare in tribunale il capo della polizia per i motivi pretestuosi con cui aveva vietato il corteo (Budapest Pride). Un’analoga decisione della Corte era stata presa lo scorso anno, dopo l’ennesimo divieto della polizia (Amnesty International). E la manifestazione, sia pure blindata dalla polizia, si era svolta senza incidenti (YouTube).

Se però l’emendamento appena proposto entrasse in vigore, il Pride potrebbe essere tranquillamente vietato perché propaganda comportamenti contrari alla morale. E che dire del principale avvenimento sportivo LGBTQ* d’Europa, gli Eurogames, che quest’anno sono programmati proprio a Budapest nell’ultima settimana di giugno? Sul sito della manifestazione non si fa cenno ai problemi che i partecipanti potrebbero incontrare recandosi in Ungheria. Ma stranamente non è ancora indicata alcuna sede per gli eventi che dovrebbero comporre il composito calendario delle “olimpiadi europee LGBT“, che includono 18 sport, eventi culturali, mostre, conferenze e feste.

Michele
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