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Celebrare il primo Pride in un paese dove l’omosessualità è ancora considerata un reato meritevole del carcere è un importante atto di coraggio. Celebrare il primo e il secondo Pride nel giro di cinque giorni in quello stesso paese dovrebbe essere un incredibile incitamento per tutti gli attivisti LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) del mondo. Eppure gli eventi di questi giorni in Tunisia stanno passando quasi inosservati, almeno fuori dai confini dello stato africano. Proviamo allora a ricostruire questi frenetici giorni, con tutte le loro luci e ombre, con alcuni attivisti tunisini. Il 24 marzo a Tunisi si è tenuta la marcia inaugurale della tredicesima edizione del Forum sociale mondiale: se il tema principale della manifestazione è stata la lotta al terrorismo, alcune decine di persone hanno portato in piazza bandiere arcobaleno e striscioni per chiedere la depenalizzazione dell’omosessualità.

E’ stato fantastico – racconta a Il grande colibrì Badr, un attivista gay che abita nella capitale – Alcune persone sono rimaste sorprese, altre persino scioccate, ma la maggior parte dei presenti hanno accettato la nostra presenza senza problemi, anzi molti ci hanno accolti calorosamente, ci hanno fatto festa e ci hanno incoraggiati“. “Abbiamo fatto la rivoluzione perché tutti i cittadini potessero godere di libertà e uguaglianza, escludere le minoranze sessuali non avrebbe senso” aggiunge Samira, femminista LGBT-friendly. L’euforia dei manifestanti, alcuni omosessuali e altri eterosessuali desiderosi di una società più aperta e liberale, si è però smorzata di fronte alla reazione dei media.

Hanno parlato di noi giornali, siti internet, radio – spiega Badr – Purtroppo sui social network sono apparsi commenti profondamente omofobici e persino minacce. Alcune persone, soprattutto credenti integralisti ed elettori della destra, hanno chiamato le radio per esprimere shock e contrarietà“. Su Internet si possono leggere commenti come questo: “L’omosessualità è peggio del terrorismo, è disprezzata da tutte le società del mondo. E’ una malattia congenita, incurabile. E’ contro natura ed è un tabù irreversibile in una società musulmana come la nostra“. E ancora: “Siamo un paese islamico e questo vuol dire niente gay e niente omosessuali. Inoltre vi ricordo che si tratta di un peccato: Dio ha creato l’uomo e la donna per fare l’amore e fare dei bambini, non due uomini o due donne“.

Molti commenti, pur non condannando esplicitamente le persone LGBT, esprimono una malevola perplessità sull’opportunità di celebrare il Pride proprio in questo periodo: “Va bene manifestare, ma non è questo il momento, perché rischiate di aizzare i terroristi“; “Non bisognava farlo adesso, dopo l’attentato al museo del Bardo: il popolo tunisino deve essere unito in questo momento, mentre l’omosessualità è un tema che divide“; “Il nostro paese è sotto attacco, ci sono cose più importanti a cui pensare“.

Eppure circa la metà dei commenti è favorevole alla manifestazione: “I commenti negativi sono deplorevoli: se rispettate i diritti, allora rispettate anche la libertà sessuale!“; “Gli omosessuali sono esseri umani quanto gli altri, anche se pregiudizi retrogradi li emarginano con conseguenze drammatiche“; “Sarebbe saggio separare la religione dalla politica e dalle leggi del nostro paese: in questo modo la nostra apertura migliorerebbe notevolmente e si favorirebbero molte evoluzioni sociali che faciliterebbero lo sviluppo“; “Anche se la maggioranza non la pensa così, l’islam non condanna l’omosessualità. Ricordatevi che fino a trent’anni fa gli omosessuali non erano perseguitati! Non nascondetevi dietro la religione per giustificare il vostro odio!“.

Due giorni dopo il Pride, il 26 marzo, si è svolto un dibattito pubblico organizzato dall’Associazione tunisina per la giustizia e l’uguaglianza (DAMJ) dal titolo “Le minoranze tra legge e violenza”, durante il quale persone provenienti da tutto il mondo hanno discusso di lotta alle discriminazioni legislative e sociali nei confronti delle minoranze etniche, religiose e anche sessuali. Dopo l’incontro, gli attivisti delle associazioni LGBT magrebine sono scesi per le strade distribuendo volantini e offrendo abbracci ai passanti (aswatmag.com).

Infine, il 28 marzo si è svolta la “Marcia della terra”, evento conclusivo del Forum. Ed è stata l’occasione per la comunità LGBT di organizzare una seconda manifestazione contro la criminalizzazione dei rapporti tra persone dello stesso sesso. Questa volta, però, il clima è stato teso: “Una decina di persone ci ha aggrediti verbalmente e c’è stato un po’ di parapiglia” racconta Badr. Era presente anche un agente di sicurezza, che però non ha ritenuto di allontanare il gruppo di omofobi perché, ha sostenuto, erano stati provocati. “Grazie, mondo di fascisti, ma questo ci rende ancora più forti” si sfoga l’attivista marocchino Med, esprimendo un sentimento di rabbia e insieme di rinnovata voglia di lottare che accomuna molti.

Ci saranno cambiamenti per gli LGBT tunisini nel prossimo futuro? Molto dipenderà dalla risposta che il governo darà all’attentato al museo del Bardo (ilgrandecolibri.com): una risposta repressiva potrebbe avere effetti pesanti sulle minoranze sessuali, come in Egitto (ilgrandecolibri.com), mentre una maggiore apertura democratica potrebbe aprire nuovi spiragli e portare cambiamenti positivi, anche se probabilmente non in tempi brevi. “Per noi non ci saranno novità nell’immediato, perché il governo ha altro a cui pensare – spiega Badr – Ma una cosa è sicura: noi pretendiamo più libertà e faremo pressione affinché a tutti i tunisini, compresa la minoranza LGBT, siano garantiti tutti i diritti. Dovremo lavorare molto e fare molto lavoro di rete con le altre componenti della società civile“.

 

Pier
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