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No, non c’era verso! Io dovevo mettermi la gonna! Ma chiedevo tanto a non volerla indossare? Ero piccola, già dai primi anni delle elementari rifiutavo di mettermi la gonna (o “sottana”, come chiamiamo noi quelle lunghe fino ai piedi). E pure le calze! Mi provocavano un prurito incessante, mi sentivo scomoda e non mi sentivo libera nei movimenti, eppure dovevo metterle. Perché ero una FEMMINA.

Sono veramente ridicoli questi obblighi che i genitori impongono ai figli. Se sei maschio ti vesti così, se sei femmina ti comporti cosà: la società e le convenzioni culturali e sociali ci bombardano con questi stereotipi di genere. Ma è assurdo che si imponga per forza l’accoppiata gonna e calze a una bambina di 6 anni che semplicemente vuole i pantaloni per sentirsi più comoda: non sta chiedendo di andare in giro in giacca e cravatta, ma solamente con un semplice pantaloncino!

Le gonne sì, il pallone no!

Sono cresciuta piangendo per le gonne che non volevo. Mi ricordo che mentre tutti in casa ci vestivamo per un pranzo o un’uscita importante e mia madre voleva che mi mettessi la gonna, io piangevo disperatamente e lei mi diceva: “Ma è bella quella gonnellina, sei una femmina, è normale mettersela”. Io la guardavo mentre, al contrario di me, si infilava un paio di jeans. E lì trovavo il punto a cui aggrapparmi perché in effetti non capivo, urlavo e cercavo di farle un ragionamento che mi sembrava troppo logico: “Mamma, ma anche te sei una femmina e ti stai mettendo i pantaloni! Perché allora io non posso?”.

Uomini in gonna? Né trans né gay, semplicemente comodi

Non capivo, proprio non capivo l’ostinazione di volermi far indossare la gonna – ostinazione rafforzata ovviamente dal fatto che, avendo una gemella che la indossava, anche io dovevo farlo per essere uguali di tutto punto!

Pochissimi anni dopo, mi sono sentita dire: “Non puoi giocare a calcio perché è da MASCHI!”. E ne sono stata privata, ahimè, fino ai 20 anni d’età, quando ormai ho una schiena da settantenne e una tecnica che non è stata allenata come avrebbe dovuto. Da piccola stavo tutto il giorno a giocare in giardino, inventandomi che gli alberi fossero i giocatori avversari e il mio cane l’arbitro. E scrivevo in un diario segreto che il pallone era il mio migliore amico ancor prima della mia migliore amica umana.

Maschiacci e femminucce

Non sono mai riuscita a trovare una spiegazione alla parola “maschiaccio” e al perché mi chiamassero così (nonostante venisse fatto in maniera dolce e amichevole) quando anche io facevo molte cose che socialmente ci si aspetta che facciano le femmine: mi piaceva aiutare mamma in cucina, lavare, adoravo giocare a bambole (ci passavo lo stesso tempo che col pallone), e infinite altre cose. La odio ancora questa parola, al solo sentirla mi irrigidisco perché ricordo quanto mi faceva stare male.

E con una logica (stupida) senza precedenti, le persone attorno a me pensavano che il colore rosa non mi piacesse! A volte dicevo: “È vero, non mi piace” giusto per dare la soddisfazione a quegli ignoranti! Ma che cavolo c’entra un colore con l’essere maschi o femmine, con il comportarsi da maschiaccio o femminuccia, come mi dicevano?

“Gender: che cos’è e cosa non è”: una guida per tutti

Un nastro rosso a Natale?

Durante la scorsa festività natalizia ho assistito ad una scena veramente ridicola. Mi trovo in fila in una gioielleria ad aspettare il mio turno. Davanti a me, marito e moglie intenti a scegliere il regalo per il figlio maschio. Scelto l’oggetto, la parte che avrei creduto più facile si trasforma nella più difficile, più complicata della scelta del regalo stesso: il nastro da avvolgere al pacchetto! La signorina della gioielleria tira fuori con assoluta semplicità un nastro rosso, considerato il periodo natalizio.

Alla vista del colore, il padre si anima vivacemente: “Ma come il rosso, signorina!”.
La moglie non capisce: “Sì, amore, è Natale…”.
Ma lui, più convinto che mai: “Io non lo voglio un nastro rosso, è un maschio nostro figlio, non è una femmina”.
La commessa tenta di replicare: “Ma è Natale, signore…”.
“E che vuol dire? – ribadisce lui – È un maschio! No, no, no, lo tolga per piacere, scegliamo un bel blu che mi sembra più appropriato”.

Rimango senza parole: era fuori dai confini della mia immaginazione poter pensare che un colore come il rosso potesse essere un oltraggio alla virilità! Eppure sembra proprio di sì: il rosso per un maschio? Nemmeno a Natale!

Ma ci sono davvero oggetti, atteggiamenti, colori (e chi più ne ha più ne metta) da maschio e da femmina? Personalmente penso che la divulgazione e la conoscenza degli studi di genere (gender studies) siano molto importanti. Dobbiamo sconfiggere questi preconcetti, per il bene dei bambini che andando a scuola potrebbero subire bullismo se invece di una macchinina porteranno con sé una bambola.

Tanto bullismo, niente diritti: non è un paese per gay

Baby-casalinghe e baby-chef

Se provate a pensarci, prima le cucine giocattolo esistevano solo per le bambine: erano soprattutto rosa e bianche ed erano considerate solo e soltanto come regalo per le femmine. Ma, con l’avvento di Masterchef, la gente si è miracolosamente resa conto che possono cucinare anche gli uomini, e via alla costruzione delle cucine giocattolo per i maschi, di colore rosso, bianco, grigio, blu, magari senza lavatrice annessa o ferro da stiro, ma pur sempre cucine con tanto di fornelli, forno e acquaio. Questa cosa me l’ha fatta notare la mia padrona di casa di 58 anni, durante un Erasmus in Spagna, che voleva regalare la cucina al nipotino e mi disse: “Sai, ora ci sono anche da maschio”.

Ci voleva un programma televisivo per far aprire un po’ di più le menti? Per insegnare ad un bimbo che quando sarà grande e tornerà a casa la sera non dovrà mettersi a dormire sul divano, ma darsi da fare come la moglie che sfornella anch’essa reduce dal lavoro? Comunque ho ancora la sensazione che la bimba ha una cucina per sbrigare le cose di casa, mentre al bimbo gli viene regalata perché può essere uno chef!

Qualche giorno dopo, la signora spagnola mi disse anche una cosa più speciale. Sul nostro pianerottolo c’era una famiglia con un bimbo piccolo e mi raccontò che lui usciva sempre con una bambola, o un bambolotto, che pettinava e con lo zainetto rosa delle Winx. “Ma che c’è di male, la mamma non deve mica vergognarsene: è una cosa normale, basta che sia felice lui!”.

 

Ginevra
©2017 Il Grande Colibrì

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