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I dati sulla diffusione globale dell’HIV sono chiari: il virus è molto meno diffuso nei paesi arabi rispetto al resto del pianeta. Ma in questi paesi gli uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini (MSM) hanno da 50 a 130 volte più probabilità di essere esposti al virus rispetto al resto della popolazione locale: è dunque chiaro che esiste un grande problema da risolvere, soprattutto se prendiamo in considerazione non solo l’allarmante dato epidemiologico, ma anche lo stigma sociale e la presenza di leggi che criminalizzano i rapporti omosessuali. Per difendere il diritto alla salute degli MSM nei paesi del Medio oriente e dell’Africa settentrionale, alcuni attivisti arabi hanno fondato l’anno scorso M-Coalition [sito], un progetto ospitato dalla Fondazione araba per la libertà e l’uguaglianza (AFE). Il grande colibrì ha intervistato Johnny Tohme, direttore esecutivo dell’organizzazione.

Come è nato il vostro progetto?

Nel 2011-2012 noi attivisti di cinque paesi del Medio oriente e dell’Africa settentrionale ci siamo ritrovati in Marocco sotto l’egida dell’iniziativa “Speaking Out” (Far sentire la propria voce) dell’MSMGF (Forum globale su uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini e HIV) per adattare e tradurre le linee guida di “Speaking Out” per i paesi arabi francofoni della regione. Il processo ha riunito sotto un unico coordinamento regionale attivisti che prima lavoravano isolati. Come attività di valutazione, ci è stato chiesto quali sarebbero potuti essere i passi successivi per mantenere vivo lo slancio e se potessimo esprimere qualche desiderio come gruppo. Noi abbiamo proposto di costituire una piattaforma formale per rimanere connessi e collaborare nella realizzazione delle nostre attività.

E poi come avete realizzato questo progetto?

Abbiamo perseverato su questa idea e abbiamo iniziato a discuterne per mail e per telefono, cercando di coinvolgere tutti i partecipanti e di unire le nostre risorse. Nei primi mesi del 2013 alcuni di noi hanno illustrato all’MSMGF il nostro desiderio di avere una piattaforma per gli uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini (MSM) in Medio oriente e Africa settentrionale. Poi, durante il resto dell’anno, abbiamo contattato potenziali organizzazioni e individui al di là di chi aveva partecipato all’inizio a “Speaking Out”. Abbiamo iniziato a cercare dei fondi e siamo riusciti a ricevere il supporto della società farmaceutica ViiV Healthcare per creare la coalizione nel gennaio 2014 e presentarla ufficialmente alla Conferenza internazionale sull’AIDS, che si è svolta a Melbourne a luglio.

Di solito pensiamo che i paesi arabi siano toccati dall’HIV solo marginalmente: questa immagine corrisponde alla realtà? Ci sono dati affidabili sulla diffusione delle malattie sessualmente trasmissibili (MST) in questi paesi?

Se guardiamo alla popolazione generale dei paesi arabi, troviamo una diffusione delle MST molto minore, ma, se osserviamo più attentamente, in alcune popolazioni chiave c’è una maggiore concentrazione: si tratta degli uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini, dei consumatori di droga per via endovenosa e dei lavoratori del sesso. Da alcuni paesi della regione abbiamo dati affidabili a supporto delle nostre ipotesi, ma ci mancano molti dati da altri paesi, in particolare dagli stati del Golfo.

Vi occupate specificamente di uomini che fanno sesso con altri uomini, una pratica proibita nella maggior parte dei paesi arabi: lavorando in questo contesto, quali sono i principali problemi e come li affrontate?

Le sfide sono sicuramente tante e su molti livelli. La vulnerabilità all’HIV, in fin dei conti, è collegata all’esperienza psico-sociale dell’individuo e le norme legali e sociali influenzano l’accesso che una persona può avere alle informazioni, ai servizi sanitari e di assistenza generale – in poche parole, influenzano la capacità di un individuo a prendersi cura di sé. Essere in una regione dove i rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso possono essere puniti dalla legge è un ostacolo molto rilevante che dobbiamo affrontare nel nostro lavoro, tuttavia, concentrandoci sull’HIV e sul diritto alla salute, otteniamo margini più larghi per funzionare e per fare attivismo o azione di lobby sugli organismi ufficiali.

Nonostante il fatto che ci siano molti musulmani progressisti e tolleranti, molte correnti di pensiero islamiche condannano l’omosessualità: anche questa condanna ha un’influenza sulla diffusione dell’HIV e delle altre MST, vero?

Sì, certo: come stavo dicendo prima, tutte le esperienze umane influenzano la vulnerabilità all’HIV. Nella nostra regione la religione, l’islam come il cristianesimo, gioca un ruolo importante nella vita delle persone, e anche quando gli individui imparano a gestire l’interazione tra la loro sessualità e la loro religiosità, dobbiamo ancora considerare le loro famiglie, la strada in cui vivono, la popolazione in generale. Ma, appunto, il lato positivo del nostro lavoro è che l’HIV è la nostra porta di ingresso e, in questo campo, la società civile è stata capace di conquistarsi degli alleati tra gli uomini religiosi, per combattere lo stigma e la discriminazione nei confronti delle persone che vivono con l’HIV. E’ un piccolo passo nella giusta direzione.

Collaborate con associazioni LGBT, organizzazioni per i diritti umani e rappresentanti della società civile?

Collaboriamo con assolutamente tutti i principali attori della società civile, dal momento che stiamo tutti sfidando lo stesso sistema e ogni successo per una singola causa è una vittoria per l’intera società civile. Molte delle principali organizzazioni che lottano per la salute e per i diritti si sono rese conto dell’importanza di un approccio olistico e di quanto tutte le battaglie per i diritti umani, inclusi i diritti LGBT, siano connesse tra loro. Sia chiaro: non tutte queste organizzazioni dichiareranno pubblicamente il loro sostegno, ma la cosa più importante è che, nelle loro attività quotidiane, servano la comunità senza pregiudizi e discriminazioni.

E quali sono i rapporti con le autorità pubbliche?

Non abbiamo una “relazione” vera e propria con le autorità pubbliche, ma facciamo tanti incontri con altre organizzazioni quando è necessario e siamo chiari a proposito del nostro lavoro. Gran parte di questi incontri avvengono con il supporto del Programma ONU per l’AIDS/HIV (UNAIDS) e dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), quindi per noi si tratta di uno spazio abbastanza sicuro in cui far sentire la nostra voce ed esprimere i nostri bisogni e i bisogni della comunità che assistiamo.

Avete iniziato a lavorare in cinque paesi (Algeria, Libano, Mauritania, Marocco e Tunisia): prevedete di espandervi in altri stati in futuro?

Durante il primo incontro di creazione del progetto, c’erano attivisti da Libano, Marocco, Tunisia, Algeria e Mauritania. Subito dopo abbiamo iniziato a contattarne altri per dare vita al comitato direttivo: abbiamo aggiunto persone da Egitto, Sudan e Palestina. Ora stiamo cercando di aggiungere qualcuno dai paesi del Golfo. Questo per quanto riguarda il comitato direttivo. Invece la copertura geografica del nostro lavoro si estende su tutti i paesi arabi della regione, e non solo su quelli in cui i componenti del comitato direttivo risiedono. E’ molto importante, però, sottolineare che non lavoriamo direttamente a livello locale: i nostri progetti sono principalmente su scala regionale (ricerca, formazione degli attivisti…), sosteniamo le organizzazioni locali affinché possano condurre il loro lavoro localmente.

 

Michele e Pier
©2015 Il Grande Colibrì

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