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Razzismo e omofobia, che i più si ostinano a considerare cose diverse, si intrecciano sempre più spesso, anche, a volte, con risultati pericolosi e potenzialmente esplosivi. Affrontare uno dei due problemi senza cercare di risolvere anche l’altro è miope e deleterio: spesso immigrati provenienti da culture molto tradizionaliste o da una colonizzazione religiosa rigida manifestano più omofobia dei nativi occidentali; altrettanto spesso da parte di molte persone LGBTQ* si manifesta un razzismo di sostanza, che in alcuni casi si manifesta anche attraverso spiacevoli dichiarazioni nella ricerca del partner.

Partiamo dall’attualità: alla parata del nuovo anno vietnamita (che è stato celebrato tre giorni fa in tutto il mondo) di Westminster, nella California del sud, la comunità LGBTQ* è stata invitata a non partecipare dagli organizzatori del Lunar new year event e, sebbene il consiglio sia stato rispettato, questa discriminazione ha portato ampia solidarietà da parte sia dei partecipanti che dei media a gay, lesbiche e trans che hanno scelto di mettersi dietro le transenne a guardare la parata senza prendersela troppo (Los Angeles Times).

Sebbene si possa essere confortati dal fatto che gli immigrati di seconda generazione siano più tolleranti anche nei confronti delle minoranze sessuali, come ha evidenziato una ricerca pubblicata appena la scorsa settimana dal Pew Research Center di Washington (v. p. 74), l’intreccio tra omofobia e razzismo si rivela in mille modi: dalla solitudine degli anziani LGBTQ* di colore, raccontata da Larry Saxon e da altri testimoni con parole che evidenziano quanto settari siano anche i luoghi di incontro LGBTQ* per eccellenza, dove tutti sono giovani e bianchi (Bay Area Report), al maggior rischio di diffusione del virus HIV tra i latini e i neri per via della doppia discriminazione che subiscono, da parte degli altri LGBTQ* per via delle loro etnie e da parte dei loro connazionali per via dei loro gusti sessuali (New York University).

A dare l’allarme è una ricerca condotta nella scorsa estate e di recente pubblicazione su AIDS and Behaviour, dove è evidenziato come il numero di contagi recenti provenga  per metà da giovani gay, in gran parte appartenenti a “minoranze” etniche. In realtà questi dati estremamente preoccupanti non sono una vera novità: parlava già di questa tendenza, ad aprile, un chiaro articolo di Perry N. Halkitis sulla rivista dell’Associazione psicologica americana (APA).

E il risultato di una chiusura omofobica degli immigrati di prima generazione, o comunque di minoranze più tradizionaliste, si manifesta anche nella difficoltà dei giovani gay di colore a venire allo scoperto con i propri familiari, per via dell’aspettativa di una forte mascolinità che è presente tra i neri americani (Rutgers), come mostra lo studio “Giovani afroamericani e le loro famiglie: ridefinire la mascolinità, affrontare il razzismo e l’omofobia”, pubblicato sul Journal of GLBT Family Studies.

Tutti questi studi, notizie e ricerche riguardano gli Stati Uniti. Ma non è che in Europa problemi del genere non esistano. Tra gli immigrati il coming out è spesso un tabu; né la comunità LGBT fa grandi sforzi per essere accogliente. E se ciò appare evidente in una società ancora poco aperta come quella italiana, spaventa che tendenze di questo tipo si manifestino anche in paesi che consideriamo più progrediti.

Sabaah, un’associazione nata in Danimarca sette anni fa per aiutare omosessuali, bisessuali e transessuali con origini etniche diverse, ha organizzato per martedì prossimo nei pressi della stazione centrale di Copenhagen un incontro pubblico per parlare del “confine tra gusti sessuali ed intolleranza“.

Il dibattito nasce dalla presenza sul sito Boyfriend di un raggruppamento di circa 450 membri con il nome “Tænder ikke på asiater” (Non mi piacciono gli asiatici), che secondo chi l’ha creato e ne fa parte manifesterebbe un semplice gusto fisico (come dire “Non mi piacciono i biondi”), mentre secondo altri, e forse con più di una ragione, sarebbe una spia di discriminazione razziale. O quantomeno di intolleranza, perché un gruppo di persone a cui non piacciono i biondi non esiste, mentre ne esistono che non amano le persone pelose, quelle grasse o, unico gruppo saggio tra questi, coloro che si credono meglio degli altri. Come gli intolleranti, appunto.

Michele Benini
©2013 Il Grande Colibrì
foto: Mark (CC BY-NC-SA 2.0)

One Comment

  • klaudio ha detto:

    Da noi l'intolleranza e il rifiuto del diverso è ormai una caratteristica; e più diverso sei, più ti allontano da me. Ho cercato di contattare la Comunità Cinese dell'Esquilino su questi temi, mi hanno risposto come nel 1976 mi rispose il rivoluzionario del Nicaragua: da noi non esistono i Gay, mentre io gli contestavo che senza Gay mai avrebberoo vinto in Centro America e mai vivranno in pace in Cina e da noi

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