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Concluse le Olimpiadi invernali di Sochi, il gigantesco evento sportivo ideato come celebrazione trionfale della Russia di Putin, il timore principale è che si concluda anche l’ondata di interesse che i media globali più importanti hanno riservato alla costante violazione nel paese dei diritti umani fondamentali, in particolare di quelli delle persone LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transessuali). Il rischio, in altre parole, è che la Russia faccia la fine dell’Uganda: dopo essere stato in cima all’agenda del movimento arcobaleno internazionale per anni e aver destato la preoccupazione di molti governi occidentali, a partire dall’amministrazione USA, il paese africano è scivolato incredibilmente nel dimenticatoio proprio nel momento di massimo bisogno (ilgrandecolibri.com). Oggi può sembrare impossibile, ma, nel caotico calderone della nostra attenzione, la Russia potrebbe sparire velocemente.

Un ottimo promemoria è senza dubbio “Invano mi odiano: racconto sui cristiani LGBT” della regista russa Yulia Matsiy, documentario già recensito su ilgrandecolibri.com. Senza alcun commento, ma proponendo semplicemente testimonianze dirette di alcuni attivisti, video caricati online dai gruppi neonazisti e sequenze girate durante le proteste pro e contro la legge che ha istituito il reato di “propaganda di rapporti non tradizionali ai minori”, il film propone alcune immagini che semplicemente non possono essere cancellate dalla memoria dello spettatore: lo sguardo vuoto di terrore di un attivista gay fermato dalla polizia, gli occhi trionfanti di una sua compagna evidentemente sorpresa dalla forza del proprio coraggio mentre sventola un mazzo di fiori durante il proprio arresto, la dolcezza di alcuni sorrisi che esprimono una speranza che sembrerebbe impossibile.

Perché certe cose sembrano impossibili, eppure ci sono. Certi animali mitologici esistono e vivono tra noi – e basterebbe guardarli meglio per vedere che, in fondo, non sono affatto strani come raccontano le leggende. E’ il caso degli omosessuali cristiani (e lo stesso si potrebbe dire di quelli musulmani), dipinti come creature impossibili o almeno come frankenstein incoerenti da troppi credenti e da troppi attivisti LGBT. Yulia Matsiy, facendo uno zoom su questi “esseri impossibili”, ci fa un gran favore. Perché il film non racconta solo fatti che stanno succedendo a più di duemila chilometri di distanza (pochissimi, in un mondo globalizzato), ma ci permette di guardare quello che succede nelle nostre comunità, nei nostri cuori, nelle nostre intolleranze che non osiamo neppure chiamare con questo nome.

“Invano mi odiano”, però, non è un film solamente sui cristiani LGBT né solamente sulla persecuzione degli omosessuali in Russia. Nella trama di questo discorso principale, costantemente emergono con forza i fili dell’ordito di altri racconti: le torture e le violenze che i gruppi dell’estrema destra continuano a riservare agli immigrati caucasici, l’intolleranza che si riversa sulle minoranze religiose e sulle confessioni cristiane non ortodosse, il potere autoritario che tutto alimenta, la cultura maschilista e patriarcale che tutto giustifica e tutto tiene insieme. Il film vola alto, permettendo uno sguardo di insieme che non solo mostra, ma anche spiega. E così facendo diventa un racconto universale sull’odio che cova nei nostri cuori e sulla sua vanità.

 

Pier
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