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Anche se il presidente del Senegal Macky Sall insiste nel non voler depenalizzare l’omofobia, come ha ribadito in un’intervista a iTele, dove peraltro è sembrato cautamente aperto su altre tematiche come la libertà di stampa e l’aborto in caso di stupro o incesto, sempre più voci dall’Africa e dalle comunità islamiche sembrano mettere in discussione il pregiudizio anti-omosessuale di molti governi e autorità religiose. E’ vero che le dichiarazioni di Macky Sall hanno subito ricevuto il plauso di una trentina di organizzazioni religiose riunite nell’Osservatorio per la difesa dei valori religiosi e culturali Mbañ Gacce e dell’organizzazione islamica Jamra, come ha ricordato l’imam Massamba Diop [ferloo.com], ma ormai le voci discordanti su questo tema non sono più isolate come in passato.

In Tunisia, per esempio, appena un mese fa, intellettuali, medici, esponenti delle associazioni per i diritti umani e molti mezzi d’informazione hanno protestato vivacemente per il rispetto della dignità di un ragazzo che, sospettato di omosessualità, è stato sottoposto dalla polizia a un umiliante (e inutile) test anale [ilgrandecolibri.com]. A partire da quel fatto ci sono state importanti prese di posizione, a cominciare da quella del ministro della giustizia Mohamed Salah Ben Aissa, che ha proposto l’abrogazione o la modifica dell’articolo che punisce l’omosessualità, “contrario al rispetto della privacy e delle libertà civili” [ilgrandecolibri.com].

Tuttavia, interpellato sull’argomento il capo di stato Beji Caid Essebsi ha detto di ritenere impossibile un’abrogazione di tale reato. Inoltre, poche settimane dopo la sua dichiarazione, Ben Aissa è stato rimosso dalla funzione di ministro della giustizia, senza alcuna spiegazione pubblica [tdg.ch]. Di fatto però il dibattito si è aperto, e anche se non si modificherà la legge è importante che si arrivi a un contesto sociale in cui la violazione delle libertà individuali e dell’integrità personale, come quella dei test anali, non sia più ammissibile [rue89.nouvelobs.com].

Ma non è solo la Tunisia, con i suoi progressi costituzionali e i suoi dibattiti – per quanto all’inizio – a muoversi. In Kenya alcuni leader di comunità musulmane e cristiane sono stati invitati a partecipare a una serie di incontri sui diritti umani: gli organizzatori hanno prima instaurato un rapporto di collaborazione e solo alla fine degli incontri hanno dichiarato la propria omosessualità, riuscendo a convincere molti predicatori, se non a combattere tutti contro l’omofobia, quantomeno a cessare di istigare all’odio nei confronti delle persone LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) [takepart.com].

Molti passi si stanno facendo anche in alcune comunità islamiche europee. A Londra due gay musulmani, Ejel Khan e Sohail Ahmed, hanno iniziato una campagna di strada per cercare di convincere altre persone del loro gruppo religioso ad accettare le persone omosessuali, sperando anche di aiutare i giovani gay musulmani alle prese con una difficile accettazione di se stessi. Alla campagna partecipano attivamente attivisti di diverse associazioni per la difesa dei diritti umani [standard.co.uk].

Accettarsi come musulmani e omosessuali è comunque complicato a qualunque latitudine: arrivato a 34 anni, però, a tre anni dalla fine della sua carriera politica che lo ha visto anche alla guida del partito degli ambientalisti di sinistra olandesi, Tofik Dibi ha fatto pubblicamente coming out in una dichiarazione rilasciata a volkskrant.nl. Dibi, intervistato in occasione della presentazione del suo libro “Djinn” (Jinn, sorta di folletto, per lo più di natura maligna, con cui l’autore ha voluto descrivere il proprio orientamento sessuale), ha affermato di aver lottato con la propria omosessualità sperando di liberarsene per anni, non sapendo come conciliare la propria fede islamica con la propria sessualità.

 

Michele
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