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“Noi non abbiamo paura: siamo qui e non cambieremo. Siete voi ad avere paura, ma ve ne farete una ragione”: la risposta del movimento LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersessuali e asessuali) all’ennesimo divieto di svolgere il Pride ieri a Istanbul era stata ferma e molto lontana da una resa. Ma ancora più lontane sono state le azioni degli attivisti per le strade della metropoli turca.

Facciamo un passo indietro. Le autorità turche avevano proibito la manifestazione per i diritti delle minoranze sessuali per presunte ragioni di ordine pubblico, prendendo come pretesto le minacce di violenza rivolte agli attivisti LGBTQIA dagli Alperen Ocakları (Cuori d’eroe), un gruppo di ultra-nazionalisti di estrema destra legato al Büyük Birlik Partisi (Partito della grande unità; BBP) [Reuters]. Il governatore di Istanbul ha anche sostenuto che gli organizzatori avrebbero commesso degli errori nel richiedere l’autorizzazione per svolgere il corteo, cosa che gli attivisti smentiscono. La portavoce del Pride, Lara Guney Ozlen, spiega ad Al Jazeera: “Credo che il divieto riguardi la mancanza di accettazione del nostro orientamento sessuale e sia una reazione al rafforzamento del movimento”.

Turchia, il Gay Pride sotto attacco trova nuovi alleati

Proiettili di gomma e gas lacrimogeni

E così domenica piccoli gruppi di attivisti omosessuali e trans hanno manifestato in vari punti del centro di Istanbul, compresa piazza Taksim, teatro negli anni scorsi di una delle maggiori contestazioni contro il governo islamista di Recep Tayyip Erdoğan. Un grande dispiegamento delle forze di polizia, che non hanno esitato a usare gas lacrimogeni e persino proiettili di gomma, ha impedito invece di raggiungere viale Istiklal, strada centrale pedonale simbolo dello shopping e del turismo. La polizia alla fine della giornata ha arrestato decine di persone (le varie fonti danno numeri diversi, da 20 a più di 40), tra attivisti LGBTQIA e militanti di Alperen Ocakları, che volevano aggredire transgender e omosessuali.

Da giugno a oggi, si sono svolti diversi Pride in Turchia, senza nessuna violenza e nessun divieto: è successo per esempio a Smirne, la terza più grande città del paese, e a Mersin, nell’Anatolia meridionale. È il Pride di Istanbul a catalizzare le minacce degli estremisti e la repressione delle autorità perché rappresenta un simbolo della laicità turca e dell’opposizione a Erdoğan: organizzato dal 1993, è storicamente l’evento LGBTQIA più grande e importante dei paesi a maggioranza musulmana. È già stato vietato sia nel 2015 sia nel 2016, con il pretesto che cadeva nel mese di ramadan, e due anni fa era stato disperso con cannoni ad acqua e gas lacrimogeni.

Quest’anno il Pride di Istanbul avrebbe dovuto svolgersi dopo la conclusione del mese sacro all’islam, ma il problema è evidentemente un altro: il regime sempre più autoritario dell’Adalet ve Kalkınma Partisi (Partito per la giustizia e lo sviluppo; AKP), chiuso in un circolo di paranoia e repressione, non può tollerare nessuna forma di dissenso, che sia politico, culturale o sessuale.

 

Pier
©2017 Il Grande Colibrì

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