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La storia la scrivono i vincitori: è un fatto risaputo, quasi un luogo comune ormai, scontato e inoffensivo. Il fatto che questa banalità abbia delle conseguenze violente e contribuisca a fare la storia, oltre che a scriverla, è una realtà un po’ più scomoda, che stiamo iniziando a riconoscere pian piano, con ogni nuova voce che si aggiunge al coro, a ogni nuovo tassello che complica – e impreziosisce – il mosaico.

L’importanza di potersi riconoscere nei protagonisti delle vicende che leggiamo è un tema sempre più trattato nel dibattito culturale e sta lentamente portando cambiamenti in diversi ambiti: letteratura, televisione, cinema. Nel linguaggio che utilizziamo, addirittura. Ma quali conseguenze positive potremmo trarre se applicassimo questo ragionamento anche a quella che dovrebbe essere la narrazione fondamentale del nostro presente, la più capace di influenzarne il corso: quella della Storia con la maiuscola e dei manuali scolastici che cercano di raccontarla?

Una storia non solo etero

In California stanno facendo dei passi importanti proprio in questa direzione: come riferisce Advocate, d’ora in avanti i libri di storia studiati nella scuola primaria e secondaria (la fascia del cosiddetto K-12, che abbraccia gli anni dall’asilo fino al diploma delle superiori) dovranno rispettare delle linee guida specifiche relative al trattamento dei personaggi LGBTQ (lesbiche, gay, bisessuali, transgender e queer) per non permettere più che la loro esistenza sia oscurata e che i bambini crescano nella convinzione (chiaramente erronea) che il passato fosse un tempo esclusivamente etero e cissessuale.

La California è il primo stato americano a prendere un provvedimento di questo tipo, ma la battaglia che ha portato a questo risultato (fortemente voluto e monitorato dai gruppi di attivismo) è iniziata da diversi anni. Già nel 2011, infatti, la California aveva imposto alle scuole di inserire nel piano didattico una parte relativa al contributo che le persone LGBTQ hanno dato alla sua storia. La decisione era stata presa, come spesso accade, per tentare di arginare una situazione drammatica: l’alto numero di suicidi registrato nello stato tra gli adolescenti LGBTQ.

Manuali per i più piccoli

La novità di questi giorni consiste soprattutto nella fascia di età interessata dal provvedimento: per la prima volta, infatti, si fa un riferimento esplicito ai bambini più piccoli, dai sei ai quattordici anni (il cosiddetto K-8) [Time]. Questo comporta una serie di sfide sia per gli autori che per gli insegnanti che dovranno trattare gli argomenti: come spiegare a bambini di dieci anni l’orientamento di genere o la storicità delle categorie di orientamento sessuale? Quali scelte linguistiche fare, come semplificare questioni complesse senza snaturarle?

Non stupisce, forse, che al momento di attuare il provvedimento la situazione sia più complessa del previsto. Non tutti i manuali sottoposti al vaglio del ministero dell’istruzione rispettano le nuove linee guida, nei mesi scorsi vari gruppi di attivisti hanno protestato per la mancata inclusione (o discussione) di importanti figure LGBTQ nei testi di scienze sociali [The Sacramento Bee] e la commissione ha finito per rifiutare due dei libri di storia proposti. Nonostante questo, però, è rinfrescante pensare che, passo dopo passo, si sta cercando di procedere in quella direzione, e l’attenzione istituzionale verso il rispetto delle minoranze – di orientamento sessuale e di genere, certo, ma anche e soprattutto etniche e culturali – è di certo un tassello rilevante al riguardo.

Conoscere e  riconoscersi

Può sembrare bizzarra l’idea di combattere un’emergenza suicidio ritoccando i manuali scolastici, ma in realtà il ragionamento alla base è molto chiaro: focalizzare l’attenzione sull’esistenza di persone LGBTQ in ogni momento e ambito della storia agisce in maniera duplice e, a lungo termine, potenzialmente rivoluzionaria.

Da un lato, infatti, offre ai giovani direttamente interessati un modello in cui riconoscersi, diminuendo la sensazione di solitudine e radicando la loro esperienza in una dimensione vitale più grande, di forza e resilienza; dall’altra, normalizzare la presenza di figure LGBTQ nella storia può avere un effetto anche sul comportamento – e la visione del mondo – di chi reagirebbe alla “diversità” dei coetanei con incomprensione e scherno. Si inserisce, in sostanza, tra quelle iniziative che mirano a costruire una società diversa, più aperta e accogliente nei confronti della pluralità.

I bambini californiani, d’ora in avanti, potranno dunque conoscere la storia del loro stato anche grazie al vissuto di personaggi non eteronormativi: autisti di diligenze come Charley Parkhurst, divenuti leggende del Far West e che oggi considereremmo uomini transgender; donne come Jane Addams, femminista e premio Nobel per la pace, e Sally Ride, la prima astronauta statunitense, entrambe lesbiche (o, nel caso di Addams, quantomeno note per avere avuto relazioni sentimentali importanti con altre donne); per non parlare del modo in cui la storia generica si intreccia a quella delle minoranze, con atti di soprusi e vergogne come l’omofobica caccia alle streghe degli anni ’50, sull’onda del maccartismo – il cosiddetto “Lavender Scare” – o la soppressione, legata allo sterminio dei nativi-americani, del ricco sistema di attribuzione di genere non binario che caratterizzava molte tribù, e che solo di recente sta riprendendo visibilità grazie alla diffusione della categoria dei Due Spiriti.

L’Italia fuori dalla storia

Viene da chiedersi quanto più ricca e complessa apparirebbe anche la nostra, di storia, se le azioni di recupero e interpretazione del passato portate avanti anche in Italia venissero prese davvero in considerazione al momento di scrivere i manuali scolastici. Quante altre storie analoghe alla partecipazione dei femminielli napoletani alla resistenza contro i nazifascisti si nascondono nelle pieghe della nostra storia? Quanto sarebbe commovente – e importante – portarle alla luce? E quanto potrebbero contribuire a scrivere, questa volta davvero, una storia futura diversa?

Non è facile, forse, porsi queste domande in un paese che va spesso nel panico non appena si affrontano certi temi, e che soffoca sotto l’etichetta assurda di “ideologia gender” ogni tentativo di coinvolgere i giovani nel dibattito, mettendo loro – le loro esigenze, le loro potenzialità e le loro scelte – al centro. Ma è un pensiero importante, in ogni caso, e a volte guardare ciò che succede altrove può essere uno stimolo anche per questo. O una fonte di speranza, quantomeno.

Micol Mian
©2017 Il Grande Colibrì
foto: Il Grande Colibrì

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