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Sembra la scena di un film o di uno spot e invece è successo davvero: durante la messa nella Chiesa anglicana di tutti i Santi di Sanderstead, nel Surrey (Inghilterra sud-orientale), il predicatore Peter Gowlland stava chiedendo ai fedeli di firmare una petizione contro l’introduzione del matrimonio omosessuale nel Regno Unito (petizione che si sarebbe dimostrata inutile, dal momento che nel frattempo Cameron, dopo la sconfitta elettorale dei conservatori, ha deciso di non appoggiare più le nozze gay: Daily Mail), quando due donne si sono alzate in piedi per ricordare a tutti che “ci sono anche altri punti di vista” (The Telegraph).

E’ difficile dare un nome a queste semplici parole pronunciate dalle due donne, un vescovo in pensione e la presidente mondiale dell’Unione delle Madri (un’associazione caritativa cristiana con più di 130 anni di storia): non è ribellione, non è protesta, non è neppure davvero contrapposizione. Le due fedeli, infatti, non hanno detto che il predicatore sbagliava, non hanno opposto verità alternative: hanno solo constatato che esistono diverse visioni all’interno della comunità del fedeli. E’ stato un semplice atto di innegabile verità. E un richiamo importante alla responsabilità del singolo credente, che non può vivere la propria fede come un esercizio meccanico, un pensiero routinario da catena di montaggio.

L’isterilimento della fede, ridotta a vuote formule da “bigino” sotto l’azione cristallizzante di una tradizione che inevitabilmente è frutto umano della storia e della cultura, non è un fenomeno né nuovo né presente solo nel Cristianesimo, come è facile constatare dandosi una rapida occhiata attorno. Non è né nuova né solo cristiana, d’altra parte, anche la costante ricerca di una via diversa per vivere la fede, liberandosi da zavorre che, predicando il bene attraverso la sofferenza e la schiavitù altrui, vengono sentite come ostacoli nel percorso per avvicinarsi al Dio.

Nell’Islam, per esempio, lo sciita Jamal-al-Din al-Afghani già nell’Ottocento invitava i credenti a “non accontentarsi della mera imitazione dei propri antenati“. L’indiano Syed Vahiduddin ha affermato, con più enfasi, che “è presuntuoso limitare l’Islam alla sua espressione classica“. Lo sciita e conservatore Yusuf al-Qaradawi, teologo tra i più noti d’Egitto, sostiene (predica bene…) che “coloro che hanno punti di vista o approcci diversi sono anche loro capaci di ijtihad“, di prendere decisioni in linea con l’insegnamento islamico attraverso uno sforzo intellettuale personale, senza seguire dettami imposti da qualche autorità morale terrena.

E, insieme al recupero della tradizione islamica del pensiero critico, del dissenso e del confronto, il richiamo all’ijtihad, che è un processo che rende allo stesso tempo l’individuo più libero e più responsabile (solo la libertà di scegliere permette sia di peccare che di essere virtuosi, sostiene il politologo sudanese Abdelwahab El-Affendi), è il cavallo di battaglia della studiosa musulmana, lesbica e femminista, Irshad Manji. Costretta dalla polizia, proprio in questi giorni, ad interrompere la presentazione del suo ultimo libro in Indonesia: centinaia di aderenti al Fronte dei Difensori dell’Islam, organizzazione islamista nota per i suoi raid contro la comunità LGBTQ* e contro i musulmani liberali (Il grande colibrì), avevano circondato il grande centro culturale dove si stava tenendo l’evento (Jakarta Globe).

Ma torniamo in Italia, dove Izzeddin Elzir, presidente dell’UCOII (Unione delle Comunità e Organizzazioni Islamiche in Italia), ha parlato di omosessualità con il trash-giornalista Klaus Davi in un’intervista su YouTube. Con un alto senso della laicità, Elzir condanna “dal punto di vista della fede religiosa” l’omosessualità (“una cosa sbagliatissima“) ed i matrimoni islamici tra persone dello stesso sesso (“non si può modellare la propria fede sui propri bisogni“), ma al tempo stesso chiede di salvaguardare i diritti umani anche delle persone LGBTQ* nei paesi arabi, professa rispetto verso gli omosessuali (“ognuno è libero di decidere come vivere, abbiamo la nostra Costituzione italiana“) e non si opporrebbe ai matrimoni gay civili (“in uno stato laico la legge viene fatta dal parlamento, non dagli uomini di fede“).

A parte qualche dettaglio fuori posto (colpa dell’intervistatore?), Elzir esprime le proprie convinzioni religiose in modo civile e pacifico e per questo merita rispetto. Ed è una forma di rispetto, verso di lui e verso tutti, se pacificamente e civilmente ci alziamo in piedi e diciamo: “Ci sono anche altri punti di vista“. E lo facciamo in questo momento non per dire che Elzir sbaglia o che qualcun’altro ha ragione (d’altra parte l’unica interpretazione perfetta del Corano è quella del Dio, per il credente che non voglia peccare d’arroganza), ma per ricordare che tante donne e tanti uomini, tante studiose e tanti studiosi, animati dal desiderio di vivere più pienamente il proprio amore per il Dio e per le sue creature e non dalla voglia di “imbrogliare”, interpretano – “per dovere” più che “per piacere” – in altri modi il messaggio divino.

E’ per questo che quello che rammarica davvero nell’intervista di Elzir non sono tanto le parole anche dure sull’omosessualità (“sbagliata“, “contro natura“, “anormale“…), ma è soprattutto il finale, con quel bollare come “una presa in giro” il matrimonio, benedetto da un imam in Francia, tra i nostri amici e collaboratori Ludovic e Qiyaam (Il grande colibrì). Perché non vuole vedere il loro amore e la loro volontà pura e sincera di vivere questo amore nella luce dell’Islam (a ragione o a torto, lo deciderà il Dio). Perché non è capace di riconoscere come perlomeno dignitosa la ricerca spirituale, per quanto gli possa apparire strana e sbagliata, di due propri fratelli nella fede e, ancora prima, nell’umanità.

La risposta di Ludovic, che è anche presidente dell’associazione degli Omosessuali Musulmani di Francia (HM2F), è pacata e rispettosa: “Il matrimonio ha una funzione sociale: l’Islam non è fatto per impedire a chicchessia di vivere il proprio amore per un’altra persona. Nell’Islam non c’è alcun intermediario tra Allah e gli esseri umani e, nell’Islam, nessun clero autoproclamato può immischiarsi nelle relazioni interpersonali (al-muaamalat) che dipendono e sono sempre dipese dal libero arbitrio“. Ma è anche una risposta fiera e piena di speranza: “Nessuna avanguardia è presa sul serio, poi un giorno la maggioranza della popolazione prende coscienza di quanto sarebbe giusto riformare quella o quell’altra rappresentazione sociale…“. E quel giorno forse non è lontano, insha’Allah.

Pier Cesare Notaro
©2012 Il Grande Colibrì
immagine: Il Grande Colibrì

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