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Gli ultimi mesi hanno visto la comunità LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) italiana tanto concentrata sulle vicende della “legge Cirinnà” [senato.it], che quando sarà approvata alla Camera riconoscerà e regolamenterà per la prima volta in Italia le unioni civili tra persone dello stesso sesso, da non preoccuparsi di molte altre vicende che, in Italia e all’estero, stanno condizionando le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender. Invece proprio le vite transessuali, per esempio, dovrebbero meritare uno spazio maggiore nei percorsi di approfondimento del movimento, dato che la discriminazione subita è anche maggiore di quella che colpisce gli uomini e le donne omosessuali. E dato che, soprattutto, questa discriminazione colpisce dove meno ce lo si aspetta.

Mentre infatti in alcuni paesi ad alto tasso di omofobia come l’Iran il cambio di sesso è visto come soluzione curativa del “problema” dell’omosessualità e in altri, come nel subcontinente indiano, esistono tradizioni secolari di riconoscimento del cosiddetto “terzo sesso” [ilgrandecolibri.com], in Danimarca, il paese che per primo al mondo ha legalizzato le unioni tra due persone dello stesso sesso, la discriminazione delle persone transessuali è all’ordine del giorno.

L’organizzazione Copenhagen Pride denuncia infatti, citando un rapporto di Amnesty International [amnesty.org] sull’accesso all’assistenza sanitaria in Danimarca, “l’atteggiamento frequente di discriminazione delle persone transessuali nella relazione con le istituzioni sanitarie e l’abitudine a ricoverarle in cliniche dedicate a persone con problemi sessuali“, come confermano, oltre al rapporto, anche numerose esperienze di persone transgender.

Il presidente di Copenhagen Pride, Lars Henriksen, parla di “un sistema malato, che va cambiato completamente“. Bisogna infatti garantire a questi pazienti, come è garantito a tutti gli altri cittadini, il diritto a decidere della propria vita e del proprio corpo, a ricevere trattamenti attraverso il consenso informato, a vedere cancellata la transessualità dall’elenco delle malattie psichiche e a ottenere una diagnosi fisica come base per il trattamento da ricevere. Heriksen si augura “che il rapporto apra gli occhi ai politici e ai cittadini sulle violazioni che ogni giorno vengono subite dalle persone transessuali e che si esca dalla costrizione binaria, che è disumana per le persone transessuali che hanno diritto a raggiungere la piena salute e a diventare pieni cittadini che prendono in mano la loro vita” [copenhagenpride.dk].

Proprio per focalizzare l’attenzione sulle persone transessuali e sulle discriminazioni, il 31 marzo si celebrerà per il quarto anno di seguito il “Transgender day of visibility” (Giornata della visibilità transgender), un’occasione per affrontare gli spaventosi dati che mettono in luce come l’80% degli studenti transgender statunitensi si senta non sicuro a scuola a causa dell’espressione del proprio genere, mentre il 41% delle persone trans ha tentato almeno una volta nella vita il suicidio.

Altri dati, forniti da Trans Student Educational Resources (Risorse educative per studenti trans), che organizza annualmente questo appuntamento, parlano di abusi che colpiscono una persona transessuale su due, mentre una su cinque si è trovata senza casa nel corso della propria esistenza e una su otto ha subito uno sfratto a causa della propria transessualità [transstudent.org].

Ma proprio consapevoli del grande lavoro che c’è ancora da fare per i diritti delle persone transgender, gli organizzatori hanno lanciato per quest’anno lo slogan (e l’hashtag) #MoreThanVisibility, perché ci sia “un impegno diretto a combattere la transfobia nel mondo, perché la visibilità non è sufficiente per arrivare alla liberazione trans“.

 

Michele
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