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Come può svilupparsi un movimento politico quando le persone sono costrette all’invisibilità o hanno grandi problemi a prendere posizione pubblicamente? E’ il dilemma che affronta chi lotta affinché le comunità islamiche riconoscano pari dignità ai musulmani LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender). Se il numero di persone che fanno coming out è ancora molto ridotto, per ragioni comprensibili, è importante continuare a produrre nuove idee e a divulgarle, in un processo in cui ognuno può avere un ruolo attivo ed importante: studiosi come l’imam dichiaratamente gay Ludovic-Mohamed Zahed [Il Grande Colibrì] producono importanti risultati grazie alla ricerca scientifica, media come questo blog li rendono fruibili al grande pubblico, ogni singolo lettore, nell’era dei social network, può contribuire a diffonderli. Oppure possiamo scegliere l’invisibilità delle vite e delle idee.

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Il problema della visibilità è sempre stato molto importante nella lotta per i diritti delle persone LGBT: secondo alcuni sociologici e storici, i primi Gay Pride, negli anni Settanta, hanno significato l’appropriazione dello spazio pubblico. Da diversi decenni abbiamo capito che è nello spazio pubblico, nell’agorà, che vengono prese le decisioni delle società democratiche. Il filosofo tedesco Jürgen Habermas parla di una negoziazione tra i cittadini in vista di un benessere generale: questa negoziazione è un processo lungo e deve essere fatta da individui politicamente visibili, per questo è inevitabilmente così difficile per gli omosessuali musulmani che spesso non si definiscono neppure tali.

Devo riconoscere che, nel mio percorso personale, il fatto di essere HIV-positivo mi ha causato così tante discriminazioni, così tante minacce e così tante violenze da parte della mia famiglia, delle comunità a cui appartenevo e della società che alla fine parlare di islam e omosessualità è stato, in fin dei conti, meno difficile. Ma per molte persone continua ad essere un argomento difficile da affrontare.

Sono rimasto molto sorpreso nel constatare quanto le persone siano invece molto motivate a parlare quando possono farlo in maniera anonima, senza essere identificate. Ed è proprio questo ciò che ho fatto per la mia tesi in antropologia: ho raccolto testimonianze sul campo e le ho analizzate dal punto di vista della sociologia. La sociologia è una grande nemica del fascismo e del totalitarismo, anche di quelli islamici, perché non descrive l’islam – anche perché il signor Islam non può essere contattato per telefono! – e tratta l’islam come una tradizione, come un insieme di consigli, non come una legge. D’altronde, “sharia” in arabo significa “via”, perché è il percorso che dobbiamo intraprendere per evolvere, non la prigione in cui dobbiamo rinchiuderci.

Comunque sono stato sorpreso da tutto quello che ho imparato dalle persone omosessuali e transessuali musulmane che ho avuto la fortuna di intervistare: il loro rapporto con la spiritualità, quando c’è, è frutto di grandi riflessioni. Ed è per questo che, secondo me, le donne e le persone LGBT, proprio perché sono discriminate e proprio perché devono costantemente dare spiegazioni e anche giustificazioni su chi sono e chi non sono, sono l’avanguardia della riforma dell’islam.

Tornando alla questione della visibilità, io da attivista – non amo l’espressione “militante” perché appartiene alla tradizione ecclesiastica cattolica ed etimologicamente fa riferimento alla vita militare – non ho mai voluto imporre uno stile di vita a nessuno né ho cercato di obbligare qualcuno al coming out. D’altra parte, dobbiamo denunciare pubblicamente la schizofrenia di chi chiede di rispettare le minoranze musulmane, riconoscendogli però il diritto di discriminare al proprio interno le minoranze LGBT.

Oggi, da ricercatore, non sono più responsabile di nessuna associazione e consacro la mia vita alla ricerca su questi temi, alla pubblicazione di testi, alla divulgazione. Dal punto di vista della mia esperienza – e non credo di averne poca, ormai – il problema è la mancanza di pubblicazioni: come direbbe Noam Chomsky, noi intellettuali siamo “proletari del sapere” ed il nostro compito è quello di produrre materiali intellettuali, poi toccherà alle persone appropriarsene per liberare se stesse e la società tutta intera dal fascismo e dalla tentazione dell’estremismo politico.

 

Leggi tutta la serie di interventi di Ludovic-Mohamed Zahed

 

Ludovic-Mohamed Zahed, imam, psicologo e antropologo
traduzione di Pier
©2015 Il Grande Colibrì

One Comment

  • carlo corbellari ha detto:

    sempre un grande piacere..pier….!! il fascismo ha molteplici facce, le più pericolose sono le meno violente!! esiste il fascismo scaturito da un dialogo, da un concetto, da un assioma, insomma da tutto quello che uno non si aspetterebbe potrebbe farlo scaturire…la natura del fascismo mentale comunque è sempre quella: negare diritti e diversità.
    le religioni sono un grande problema sociale, universale: l'assioma, secondo il quale, tutti gli uomini sono uguali e tutte le religioni sono dedite allo stesso dio, viene fascistamente tranciato quando ogni religione va in trincea per attacco o autodifesa.
    la politica è un'altra religione fascista, laddove al dialogo che fa un vinto e un vincitore per il bene comune, si sostituisce la religiosità della propria idea attuata e imposta.
    la meno fascista di tutte le attività e credi umani, è la sessualità, che è innocente dall'inizio e tale rimarrebbe per sempre se non venisse violentata dall'interpretazione umana…
    la religione che per prima riuscirà a entrare in questo cuneo e insediarcisi, sarà la religione del XXI secolo…io spero sia l'islam

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