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Annunciando il proprio viaggio in Africa, il continente che oggi ospita il 12% dei cattolici e che nel 2050 ne dovrebbe ospitare tra il 25 e il 30%, Papa Francesco ha detto di voler portare un messaggio di “riconciliazione, perdono e pace“. Il pontefice, che visiterà Kenya, Uganda e Repubblica Centrafricana, è talmente ammirato dagli africani da essersi guadagnato il soprannome di “papa della speranza”: non gli riconoscono solo il coraggio nell’affrontare un viaggio rischioso, ma anche e soprattutto la determinazione nel denunciare la povertà, l’ingiustizia sociale, la corruzione, la guerra e lo sfruttamento eccessivo delle risorse ambientali. D’altra parte, però, la Chiesa cattolica africana è fortemente conservatrice e guarda con sospetto alle aperture del pontefice nei confronti dei divorziati e soprattutto degli omosessuali, nonostante queste aperture siano state spesso più di forma che di sostanza.

Nel recente sinodo sulla famiglia, proprio i vescovi africani si sono dimostrati gli avversari più agguerriti nei confronti di chi proponeva una dottrina più accogliente e progressista sulle forme familiari cosiddette “non tradizionali”. Questa posizione è stata espressa con toni anche molto duri: per esempio, Robert Sarah, cardinale della Guinea, aveva definito gli omosessuali come “bestie dell’Apocalisse” generate dal demonio e li aveva paragonati al terrorismo, al nazifascismo e al comunismo.

La Chiesa cattolica africana “si sta muovendo da un lato su posizioni più conservatrici sui temi morali e sociali, dall’altro su posizioni più liberali sulle questioni economiche e di giustizia sociale“, spiega a nytimes.com il professor Philip Jenkins della Baylor University, che studia il cristianesimo globale. Le stesse osservazioni possono essere applicate anche a molte altre chiese cristiane, come la Chiesa metodista unita o la Comunione anglicana [ilgrandecolibri.com], in cui il clero africano è generalmente schierato con gli integralisti americani nell’opposizione a qualsiasi apertura.

Allargare lo sguardo alle altre chiese è essenziale per capire cosa sta succedendo in Africa: il continente è considerato un grande mercato delle anime, in cui le diverse denominazioni cristiane, ma anche le diverse correnti islamiche, si fanno una concorrenza spietata per strapparsi fedeli le une alle altre. E, purtroppo, questo le porta ad arroccarsi sulle posizioni più intransigenti. L’apertura agli omosessuali, in particolare, può costare l’accusa di vendersi alle lusinghe di un Occidente sempre meno religioso, di cedere alle pressioni di un neocolonialismo morale che vorrebbe distruggere le radici spirituali africane.

In questo clima difficile, gli omosessuali africani cattolici fanno richieste molto modeste a papa Francesco. L’attivista gay keniano David Kuria spera che “il papa dica di amare tutti, specialmente chi frequenta ancora la chiesa“. In Uganda Jackson Mukasa, un ragazzo che era finito in prigione per accuse non provate di omosessualità, dice a reuters.com: “Mi piacerebbe che il papa facesse almeno capire che l’omosessualità e la transessualità non sono opere demoniache“. Mentre Frank Mugisha, direttore di Minoranze sessuali Uganda (SMU), vorrebbe che il pontefice chiedesse di trattare tutti come figli di Dio: “Se inizierà a parlare di diritti, gli ugandesi si metteranno sulla difensiva, ma se parlerà di amore, compassione e uguaglianza per tutti, allora gli ugandesi lo staranno a sentire“.

Ma il vaticanista Francis X. Rocca e l’inviata in Kenya Heidi Vogt su wsj.com invitano a non farsi troppe illusioni: “Il pontefice potrebbe deludere amaramente gli attivisti gay: se leggiamo i suoi commenti passati, è probabile che, invece di denunciare le pesanti leggi antigay in vigore in alcuni paesi africani, critichi aspramente i tentativi del mondo ricco di imporre i propri valori, come il matrimonio omosessuale ed il riconoscimento dei diritti gay, ai paesi poveri“. Papa Francesco cederà davvero alla peggiore retorica inventata dagli integralisti evangelici americani?

 

Pier
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