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L’emergenza diritti umani in Russia e nei paesi vicini che hanno approvato – come Mosca – una legislazione contro le persone LGBT ed il loro diritto a parlare pubblicamente, sembra dimenticata, anche se nulla indica un cambio di rotta nelle politiche omofobiche dell’ex-URSS. A dimostrare che la situazione è tutt’ora d’emergenza ci pensa soprattutto il Kirghizistan, dove già nello scorso aprile il gruppo di attivisti Labrys era stato attaccato con un attentato dinamitardo che solo per un caso non aveva avuto vittime (ilgrandecolibri.com). Nei giorni scorsi, una trentina di attivisti LGBT si sono riuniti in un bar a Bishkek per celebrare la giornata mondiale contro l’omofobia, quando i componenti di due movimenti anti-gay (Kalys e Kyrk Choro) hanno fatto irruzione nel locale prendendo di mira gli attivisti con insulti, spinte e minacce come “Non ne uscirete vivi, dovete tutti bruciare! Non ve la caverete!“.

Dopo le minacce, gli insulti e le violenze (che per quanto limitate hanno costretto a cure ospedaliere un militante LGBT), il gruppo di attivisti e quello degli aggressori sono usciti dal locale dove è arrivata la polizia (labrys.kg). La cosa più sconcertante è però che tutte le persone coinvolte nello scontro sono state portate al comando di polizia, ma mentre gli attivisti LGBT si sono visti negare l’assistenza sanitaria e legale, l’uso dei bagni e la possibilità di rifocillarsi, malgrado le diverse ore trascorse, ai componenti di Kalys e Kyrk Choro era permesso scorrazzare per il commissariato in libertà. I poliziotti hanno inoltre minacciato i militanti omosessuali, intimando loro di mostrare le proprie caratteristiche genitali, probabilmente a caccia di qualche transessuale, come ha denunciato Transgender Europe (tgeu.org).

Kalys e Kyrk Choro, i gruppi che si sono resi responsabili dell’aggressione (per cui è stato aperto un procedimento per teppismo, che vede però indagati tutti i partecipanti allo scontro, aggressori e vittime) sono movimenti che si oppongono strenuamente al riconoscimento dei diritti LGBT e nella stessa settimana avevano compiuto altri atti di boicottaggio delle iniziative per la celebrazione contro l’omotransfobia (frontlinedefenders.org).

Il Kirghizistan ha approvato una legge contro la propaganda LGBT, sul modello di quella russa, lo scorso anno (ilgrandecolibri.com). E il Kazakistan ci sta seriamente pensando, anche se i tribunali puniscono già pesantemente chi osa mostrare immagini di amori non convenzionali. L’ultima speranza che una norma anti-gay non diventi legge è affidata a una lettera del Comitato olimpico internazionale, che raccomanda il rispetto dei diritti di tutti al paese che, con la Cina, è candidato ad ospitare i Giochi olimpici invernali del 2022 (thediplomat.com).

E mentre a Mosca il governo cittadino ha, sulla base della legislazione anti-propaganda, vietato il Gay pride previsto per sabato 30 maggio (news.yahoo.com) e gli organizzatori fanno ricorso contro il divieto, forti della sentenza del 2010 della Corte europea dei diritti dell’uomo, che sancisce come questi divieti si configurino come violazione delle libertà fondamentali dell’uomo (rbth.co.uk), la preoccupazione si estende alla manifestazione europea che quest’anno dovrebbe tenersi a Riga, capitale della Lettonia.

Il vicesindaco della città ha infatti detto che “l’Europride non si dovrebbe tenere nella capitale lettone, perché è una pretenziosa dimostrazione di se stessi e non promuove la comprensione da parte della società“. L’evento, programmato già dal 2012, è difeso dall’associazione Mozaika, che è tra gli organizzatori e che in un comunicato spiega: “L’Europride rappresenta un’occasione storica in quanto sarà il primo tenuto in un paese post-sovietico al confine orientale dell’UE con la Russia e offre una preziosa occasione per richiamare l’attenzione a livello europeo sui diritti umani LGBT nella regione” (leta.lv).

 

Michele
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