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In questi mesi il dibattito politico della maggior parte degli stati europei ruota intorno a due questioni morali: l’accoglienza dei profughi provenienti dagli stati in decomposizione in Africa e in Medio Oriente e il riconoscimento del matrimonio tra persone dello stesso sesso. Le due questioni sono percepite come ovviamente separate: gruppi e media specializzati nel primo campo non si esprimono sul secondo, e viceversa. E anche i giornali affrontano i due argomenti in pagine ben distinte. Eppure un filo conduttore esiste: i diritti umani. Non si tratta di un filo conduttore puramente lessicale o solamente astratto, e lo dimostra l’attivismo di Neil Falzon e della sua fondazione Aditus, un’organizzazione che a Malta difende i diritti a 360 gradi. Oggi nell’isola Falzon è conosciuto come il più importante attivista per i diritti umani. Per dei diritti umani che non hanno bisogno di altri aggettivi.

Quando hai iniziato ad occuparti di migranti e rifugiati?

Durante gli ultimi anni di università, intorno al 2000, sono entrato e ho diretto il ramo maltese di Amnesty International, fatto che mi ha reso consapevole delle sfide affrontate da migranti e rifugiati a Malta. Poi ho sospeso queste attività per qualche anno, il tempo di conseguire i miei master sui diritti umani. Nel 2005 ho iniziato a lavorare per l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), tornando a capofitto nel mondo dei rifugiati che arrivano a Malta, ma anche adottando un’ottica globale grazie al ruolo che avevo all’interno dell’ONU. Ho diretto l’ufficio dell’UNHCR per qualche anno: il nostro obiettivo era assicurare che i rifugiati fossero protetti a partire da quando venivano scoperti in mare e poi in ogni momento, fino alla loro difficile integrazione a Malta.

E poi? Quando hai dato vita alla fondazione Aditus?

Nel 2011 ho lasciato l’ufficio dell’ONU e ho fondato insieme ad altri due avvocati la fondazione Aditus: mi ero reso conto che ero più portato per il lavoro delle organizzazioni non governative (ONG).

Quali erano gli scopi dell’organizzazione? Sono cambiati con il tempo?

Quello che volevamo fare – e che continuiamo a voler fare – era una ONG che affrontasse il tema dei diritti umani in modo olistico, senza limitarsi ad un tema specifico. Volevamo anche focalizzarci nel fare pressioni al sistema legislativo e politico, senza dare la priorità ai servizi. Ancora oggi queste idee sono centrali per la fondazione Aditus e cerchiamo di enfatizzare il fatto che una battaglia per i diritti umani, che sia fatta a livello statale, comunitario o personale, deve essere inclusiva e universale, nel senso che deve tenere conto di tutti i diritti umani e che deve mirare a tutti i componenti della società.

Insieme a quali altre organizzazioni lavorate?

Lavoriamo strettamente insieme a molte altre organizzazioni in tutti i campi del nostro lavoro: siamo fermamente convinti che il lavoro fatto insieme agli altri sia molto più efficace del lavoro in solitaria. Infatti crediamo che tra i nostri compiti ci sia anche quello di sviluppare reti, di collegare energie, di creare comunità. Nel 2014 abbiamo fondato la prima ed unica rete per i diritti umani di Malta, PHROM, che raccoglie le ONG che lavorano in qualsiasi ambito legato ai diritti umani e che le spinge a parlarsi, a lavorare insieme, a sostenersi reciprocamente e a far emergere i diritti umani nell’agenda politica di Malta.

La popolazione maltese come considera il vostro lavoro?

Lavoriamo su molti problemi e su molti temi e per questo anche la percezione del pubblico è molto sfaccettata. Dal momento che lavoriamo con i migranti ed i rifugiati siamo talmente impopolari che spesso subiamo insulti e minacce: in molti ci vedono come traditori che sostengono l’invasione africana dell’Europa e pensano che Malta svolga il ruolo di melodrammatica barriera tra un nord ricco, bianco e laborioso e un sud musulmano, sporco ed in profonda crisi. Il nostro lavoro sulle tematiche LGBT, invece, di solito piace molto, anche perché piace molto al governo maltese.

E la comunità LGBT, in particolare, come reagisce al vostro lavoro?

La comunità sostiene il nostro lavoro. Abbiamo elaborato e fatto campagna per la legge maltese sulle unioni civili, grazie alla quale ora le coppie omosessuali possono godere degli stessi diritti e degli stessi doveri delle coppie sposate. Lavoriamo anche sulle problematiche affrontate dalle persone transgender, inclusa la nuova legislazione maltese sull’identità di genere.

Questo sostegno riguarda anche le battaglie per i diritti di migranti e rifugiati?

E’ sempre difficile riuscire a ricordare alla comunità, come al pubblico in generale e al governo, che i diritti delle persone LGBT sono in fin dei conti identici ai diritti dei migranti e dei rifugiati, perché sono diritti umani fondamentali. E perché si tratta di comunità escluse dalla società, di persone che subiscono discriminazioni sul posto di lavoro, nei bar, per strada, e che a volte rischiano anche violenze fisiche. Cerchiamo di usare i nostri successi nell’ambito LGBT per migliorare il nostro impatto sui diritti di migranti e rifugiati.

Ti faccio un solo esempio sull’Italia: quasi sempre i principali media LGBT italiani non dedicato neppure una riga alle stragi del Mediterraneo…

Dal nostro punto di vista, un attivista LGBT deve dimostrare il proprio sostegno anche ai diritti degli altri gruppi emarginati. Ovviamente i modi per farlo sono molti e possono essere molto soggettivi, ma se non siamo noi attivisti a collegare i punti tra, ad esempio, una lavoratrice del sesso trans e un minore non accompagnato in cerca di asilo, allora come possiamo aspettarci che siano gli stati o il pubblico in generale a farlo?

Come giudichi le politiche migratorie di Malta?

Malta ha sempre adottato un approccio restrittivo alla migrazione, preferendo usare una retorica e adottare politiche che dicono senza mezzi termini ai migranti che non sono i benvenuti. Lo si può vedere, ad esempio, nella politica carceraria maltese, nella mancanza di prospettive di integrazione, negli alti livelli di razzismo, anche da parte delle istituzioni, nello sfruttamento della manodopera, e anche nell’approccio di Malta alla residenza di lungo periodo e alla cittadinanza.

E, invece, per quanto riguarda l’Unione Europea?

L’UE è un animale strano: da una parte possiamo vedere come l’UE abbia un ruolo forte in molte aree della nostra vita, dall’altra, per quanto riguarda le migrazioni, le politiche nazionali e le priorità nazionali continuano ad essere la guida a Bruxelles. Questi approcci divergenti portano inevitabilmente ad approcci frammentati a politiche e norme riguardo, per esempio, l’accesso all’UE, i mercati del lavoro, l’educazione, i servizi di assistenza, le procedure per l’asilo politico. Inoltre, ci delude il fatto che l’UE abbia fallito nel suo ruolo di ricordare agli stati membri, attraverso l’uso di misure legali, i loro obblighi legali in relazione ai diritti umani fondamentali.

Quali sono i vostri suggerimenti, allora?

Crediamo che l’UE debba urgentemente rivedere il proprio approccio nei confronti di migranti e rifugiati: è inaccettabile che una famiglia somala che fugge dalla guerra e dalla persecuzione debba salire su una barca e rischiare la propria vita perché nessuno stato membro le concede un visto Schengen! Siamo collettivamente responsabili della morte di migliaia di migranti e, se la retorica e le politiche non si sposteranno da un approccio emergenziale ad un approccio sul lungo termine, da un approccio egocentrico ad un approccio basato sui diritti, tutto quello che vedremo saranno più miseria e più funerali. E più lacrime di coccodrillo.

Pier Cesare Notaro
©2015 Il Grande Colibrì
foto: Thyes (CC BY-SA 3.0)

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