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Niente Regno Disunito, niente Piccola Bretagna: alla fine i cittadini della Scozia, con un’affluenza altissima e con una maggioranza di circa il 55%, hanno deciso di non diventare uno stato indipendente. Per molti attivisti LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) si tratta di un’occasione storica persa per fare notevoli passi avanti sulla via dell’uguaglianza: le promesse della campagna elettorale per il “sì”, infatti, erano state tante e importanti e avevano fatto sognare un paese ancora più gay-friendly del Regno Unito. Ad esempio, la bozza di costituzione prevedeva che “il governo scozzese e le autorità pubbliche devono, nell’esercizio delle proprie funzioni, cercare di promuovere e assicurare pari opportunità per ciascuna persona in Scozia, indipendentemente da caratteristiche personali” come, tra le altre, l’identità di genere e l’orientamento sessuale.

Una Scozia indipendente annuncerà una nuova era per l’uguaglianza, sancendo diritti e protezioni in una costituzione scritta” aveva ribadito Alex Salmond, premier di Edimburgo e leader del Partito nazionale scozzese (SNP), nel commentare “deliziato” (pinknews.co.uk) i risultati di un sondaggio online condotto da pinknews.co.uk tra i cittadini scozzesi LGBT. Anche se priva di reale valore scientifico, la rilevazione aveva offerto due risultati molto interessanti: innanzitutto coloro che annunciavano un voto a favore dell’indipendenza (54%) erano di gran lunga più numerosi di coloro che auspicavano una Gran Bretagna ancora unita (44%); inoltre la percentuale molto bassa di indecisi (appena il 2%) dimostrava quanta importanza la comunità queer scozzese abbia attribuito al voto di ieri.

Oltre alla difesa dell’uguaglianza e delle pari opportunità in una costituzione scritta, gli indipendentisti avevano promesso una politica estera molto attiva nel promuovere in tutto il mondo i diritti umani, compresi quelli delle persone LGBT, e l’abbandono dell'”approccio aggressivo di Westminster [il parlamento britannico; NdR]” nei confronti di rifugiati e richiedenti asilo perseguitati in patria perché omosessuali o transessuali (equality-network.org): infatti, è noto come il Regno Unito, nonostante siano scoppiati numerosi scandali nel corso degli anni, continui a sottoporre gli individui LGBT in cerca di protezione a umiliazioni e violenze psicologiche (ilgrandecolibri.com) e spesso rifiuti di accogliere semplici persone e attivisti che con ogni evidenza rischiano la vita se rimpatriati.

Di fronte al sogno di Salmond su un paese che avrebbe destinato più risorse politiche, sociali, culturali ed economiche alla realizzazione di una società equa e solidale e alla lotta ad ogni forma di discriminazione, Johann Lamont, leader del Partito laburista scozzese con posizioni unioniste, ha proposto sogni agitati (“Un voto per l’indipendenza significherebbe perdere l’opportunità di dedicare leadership e risorse agli obiettivi di uguaglianza: per anni, forse per decenni, saremmo concentrati sulla semplice ricostruzione delle funzioni fondamentali di governo“) e persino l’incubo del “pericolo di un futuro governo che non si impegni per l’uguaglianza in Scozia” e che infranga la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (equality-network.org).

Di fronte all’entusiasmo di tanti attivisti LGBT che sventolavano il “Rainbow paper”, carico di impegni e di proposte, della campagna pro-indipendenza (yesscotland.net), i fautori dell’unità non hanno saputo progettare o comunicare proposte alternative convincenti e si sono arroccati nella difesa del positivo status quo britannico. Anche l’articolo, che pure ha avuto molta risonanza, in cui l’avvocato Daniel Donaldson si è scagliato contro gli indipendentisti appare decisamente cupo e scialbo: “Ignorare completamente i successi del Regno Unito [relativamente a uguaglianza e diritti umani; NdR] e dipingere tutto in modo così negativo è semplicemente sbagliato” (danielforequality.blogspot.co.uk).

Solo in malafede si può affermare che la Scozia sia stata costantemente più progressista di Westminster per quanto riguarda l’uguaglianza LGBTI” aggiunge Donaldson. Ma gli attivisti indipendentisti hanno avuto gioco facile a ribaltare l’accusa di malafede, ricordando alcuni fatti importanti: Edimburgo ha abolito la legge contro la “promozione dell’omosessualità” tre anni prima di Londra e, anche se ha approvato il matrimonio tra persone dello stesso sesso con quasi un anno di ritardo, lo ha fatto con una maggioranza nettamente superiore (85% contro il 69% londinese) e garantendo maggiori diritti alle persone transessuali, che in Scozia non dovranno ottenere il consenso obbligatorio del coniuge per intraprendere la transizione, come invece previsto in Inghilterra e in Galles.

In ogni caso il pessimismo, il tono sempre lievemente minaccioso, la mancanza di fiducia e l’assenza di proposte costruttive della campagna unionista hanno fatto montare un’ondata separatista imponente (il 45% di “sì” era molto difficile anche soltanto da immaginare fino a qualche mese fa), ma insufficiente a staccare la Scozia dal resto del Regno Unito. Con la vittoria del “no”, Londra ha promesso di devolvere più poteri a Edimburgo, che a sua volta ha promesso di usare questi nuovi poteri anche per garantire più uguaglianza e più protezione alle persone LGBT: vedremo ora cosa succederà e capiremo se qualcuno stava bluffando.

Pier
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