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Ogni cellula del suo corpo, vibrando nel contraccolpo, si risvegliò dal lungo sonno con un ruggito e capì in un istante solo cosa significa davvero essere viva. Non si era mai sentito così eccitato in nessuna delle scorribande passate. Beh, prima di allora avevano fatto solo cagate da poco, in fin dei conti, questa roba era tutta diversa. Era tutta la città che bruciava e la polizia c’aveva il pepe al culo.

Si erano ritrovati pochi minuti prima. Qualcuno, facendo zapping annoiato sul divano, aveva visto le immagini delle colonne di fumo, delle auto in fiamme, dei primi saccheggi: roba da paura. Aveva subito chiamato gli altri e, il tempo di un rutto, si erano convocati al solito posto. Esteban era stato fermato sulla porta da sua madre: “Dove stai andando?” gli aveva chiesto. Lui le aveva risposto con una piccola spinta, quasi delicata, e con un “Cazzi miei!” ringhiato tra i denti.

Il secondo colpo fu anche meglio del primo. Le mani gli facevano male per quanto stringeva forte la mazza. Gli passò vicino Angelito e, prima di entrare, ridendo come un minchione gli gridò: “Dai, testa di cazzo, spacca tutto! Se fai il bravo, dopo te lo sbatto in bocca!”. Un pompino a quel figlio di puttana glielo avrebbe fatto volentieri. A parte il nome da coglione, era il più simpatico della banda e se l’era fatto succhiare già un paio di volte. Diceva che gli piaceva solo la figa, ma Esteban qualche dubbio ce l’aveva. Non che gliene fottesse più di tanto, a dire il vero.

La mazza colpì quella vetrina del cazzo per la terza volta e finalmente la trapassò. Schizzi di vetro volarono tutt’attorno. Distruggere la vetrina, comunque, non era fondamentale, la porta era spalancata e alcuni dei suoi amici stavano già uscendo con gli zaini pieni di telefonini e portatili. Uscì anche Angelito, trascinando un grosso sacco nero: “Nei tuoi locali da finocchio fai più la figa con l’IPhone o con il Blackberry, miss Pompadur?”. “Baciami il culo, angioletto dei miei coglioni! E mettimi da parte un IPhone!”. “Perché, ha la vibrazione più forte quando te lo ficchi nel culo? Muoviti e prendi la cassa!”.

Esteban sorrise sotto i baffi, pregustandosi l’IPhone nuovo. Lo aveva chiesto e lo avrebbe ottenuto. D’altra parte avrebbero spartito tutto in modo equo. Non era fiducia, era certezza: erano una banda, non una compagnia di merda di sancarlini. Era la sua banda e lì andava bene tutto. Nessuno gli rompeva i coglioni se preferiva la banana alla patata. Erano cazzi suoi. Lo prendevano un po’ per il culo quando andava nei locali gay, tra le fighette sculicchianti dell’Elephant o del Borgo. Esteban non aveva mai avuto i soldi per spacciarsi per uno di loro e comunque disprezzava quella gente che andava in giro con le mutande firmate e l’auto di papà. Però gli faceva comodo un pompino qualche volta. E quegli stronzi più se la tiravano davanti agli altri, più cadevano in ginocchio facilmente all’ombra di qualche cespuglio. Di lui, con i suoi modi bruschi e la sua faccia feroce, avevano timore. E desiderio. Amici mai, comunque.

Esteban entrò nel negozietto. Meglio: di quello che restava del negozietto. Il pavimento era cosparso di depliant e dei cocci delle vetrinette sbattute a terra e spaccate a colpi di mazza da baseball. La vetrina esterna rientrava nel negozio come una vela gonfiata dal vento, con un buco in mezzo. Un grande poster con le Piramidi penzolava dalla parete, mezzo stracciato e appeso ormai a un chiodo solo. Di fronte, un altro grande poster, con una qualche cazzo di moschea, era afflosciato sul pavimento. Uno dei ragazzi ci aveva pisciato sopra. Arabi di merda! Avevano scelto proprio il negozio di un arabo perché gli stavano sui coglioni gli arabi: cavernicoli, manine corte, furbi come ladri. E poi si sa quello che fanno ai froci, dalle loro parti. E comunque la polizia sarebbe corsa a difendere la Rinascente e i negozi di Corso Vittorio Emanuele, non gliene cagava una minchia di quel buco di periferia.

Esteban girò dietro al bancone e aprì la cassa. Le banconote non erano molte: chi era quel figlio di una mignotta che aveva inventato il bancomat? Iniziò a raccogliere i 20 euro, pensando se valeva o no la pena raccattare anche le monete da due euro. Lo sguardo gli cadde verso l’angolo lì vicino: due occhi persi nel vuoto, il commesso, un ragazzino del cazzo che aveva anche meno anni di lui, tutto raggomitolato su se stesso. “Ma che cazzo vuoi?” gli ringhiò Esteban con cattiveria, prima di agguantare i 10 euro. L’occhio tornò un attimo sul commesso: era immobile, con la stessa immutabile smorfia di dolorosa sorpresa.

Esteban pensò che a volte nella vita siamo proprio coglioni e che lui lo stava per diventare più di tutti gli altri messi insieme. Ma pazienza, in fondo non c’aveva un cazzo da perdere. Si sedette accanto al ragazzino, gli cinse le spalle con un braccio. “Eddai amico, vedrai che si risolverà tutta questa merda…” gli disse, dandogli un piccolo buffetto, quasi delicato, sulla guancia. Il suono di una sirena si faceva sempre più vicino.

 

Pier
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