Skip to main content

L’esistenza di un sistema repressivo è senza dubbio dimostrata dagli atti di censura delle autorità sulla stampa e sulle azioni delle persone e degli attori sociali. Ma, in realtà, c’è un segnale molto più significativo per misurare l’efficacia e la profondità della repressione: l’autocensura. Capita così che in Russia il video di presentazione della candidatura alle presidenziali americane di Hillary Clinton (video sotto) venga trasmesso dal canale Dohzd segnalandolo come vietato ai minori perché contiene la scena di due uomini che, mano nella mano, annunciano la decisione di sposarsi. Non importa che le autorità non abbiano detto nulla e non importa neppure che Dohzd sia da anni un canale apertamente schierato con l’opposizione anti-putiniana: i dirigenti non hanno voluto correre rischi e hanno preventivamente deciso di vietare il video ai minori (abcnews.go.com).

Se la decisione della tv appare assurda, in realtà non è per nulla immotivata: la legge russa punisce pesantemente la “propaganda dell’omosessualità“, espressione vaga nella quale il regime può identificare tutto e nulla. I sostenitori di Putin, comunque, potranno fare i finti tonti e continuare a negare l’omofobia del suo governo: in fondo, diranno, si è trattato di una libera scelta di un operatore privato, non dell’imposizione di un’autorità pubblica, no? Intanto altre forme di autocensura sembrano anche più inquietanti. L’assistente virtuale della Apple, Siri, ad esempio rispondeva così a chi le chiedeva in russo dove fossero i locali gay più vicini: “Arrossirei, se potessi“. E se le si facevano domande sui matrimoni omosessuali rimaneva in silenzio o replicava: “Farò finta di non aver sentito” (video sotto).

Apple ha spiegato che si trattava di un bug (solo sull’omosessualità e solo nella versione russa: potenza delle coincidenze, eh!). Le multinazionali – e soprattutto quelle che si presentano come friendly, come la Apple di Tim Cook, che pochi giorni fa scriveva: “Non ci importa cosa la legge permetta in Indiana o in Arkansas: noi non tollereremo mai la discriminazione. Non è una questione di politica o di religione, è questione di come trattiamo gli altri in quanto esseri umani” (washingtonpost.com) – farebbero meglio a essere più sincere: se vogliono continuare a vendere in mercati controllati da regimi repressivi (business is business, in fondo), almeno non mascherino gli effetti della repressione come libere scelte o improbabili effetti di errori tecnici…

La situazione in Russia è troppo grave e si sta deteriorando troppo rapidamente per dare acqua al mulino di chi nega che la legislazione di Mosca sia omofobica e alimenti l’omofobia: secondo un recente sondaggio il 51% dei russi non vorrebbe un vicino di casa gay, mentre appena tre anni fa (prima della legge sulla “propaganda gay”) la quota degli intolleranti era “solo” del 38%. Solo il 20% ritiene che gli omosessuali debbano essere accettati dalla società, mentre reclama una loro condanna sociale ben il 63% delle persone (a fronte del 25% negli Stati Uniti e dell’11% nell’Unione Europea; apnorc.org). Altri studi forniscono cifre persino peggiori.

La propaganda funziona” constata Tatiana Vinnichenko, che presiede la Rete LGBT russa. La rapida radicalizzazione dell’omofobia fa paura, come ammette l’attivista Alekseenko: “Tre o quattro anni fa c’erano individui estremisti, ma ora formano gruppi: ci minacciano sui social network, pubblicano dettagli sui militanti e sulle loro famiglie, minacciano violenze fisiche“. E a volte picchiano, stuprano, bruciano vive le persone, le uccidono.

E le autorità fomentano l’odio e il sospetto, nei discorsi ufficiali e attraverso le leggi, che presto potrebbero persino peggiorare: se le organizzazioni non governative (ONG) sono considerate sin dal 2012 come “agenti stranieri” – cosa che implica pressioni, limitazioni, pesanti spese – una nuova proposta vorrebbe vietare le “organizzazioni straniere indesiderabili” che “rappresentano una minaccia per le capacità di difesa e per la sicurezza dello stato o per l’ordine pubblico o per la salute pubblica“. Insomma, sembra avvicinarsi un’ulteriore giro di vite per le associazioni LGBT. “Prima le cose erano molto più facili: in passato le persone pensavano che si potesse fare qualcosa per migliorare la situazione. Ora sono stanche di lottare senza ottenere risultati” dice Vinnichenko (theguardian.com).

La situazione è tragicamente la stessa in Kirghizistan, dove gli attacchi omofobici sono aumentati dopo l’approvazione, sotto influenza russa, di una legge che criminalizza la “formazione di atteggiamenti positivi nei confronti di forme non tradizionali di relazioni sessuali” – un altro modo per definire quella che i russi chiamano “propaganda gay”. L’aumento delle tensioni e delle minacce è culminato nell’attacco alla sede dell’associazione LGBT Labrys: sono state gettate tre bombe molotov nei suoi uffici e solo per un caso fortunato l’incendio che si è sviluppato non ha provocato danni irreparabili (labrys.kg).

L’odio omofobico monta in Russia e varca i suoi confini, ma c’è spazio per un po’ di speranza negli stati baltici, nati anche loro dal crollo dell’Unione Sovietica: l’Estonia ha introdotto le unioni civili e il ministro degli esteri della Lettonia ha fatto coming out. Proprio nella capitale lettone, Riga, si svolgerà dal 15 al 21 giugno l’EuroPride 2015. Nonostante l’opposizione delle chiese cristiane locali e l’appoggio di appena il 4% della popolazione, gli organizzatori della manifestazione sono ottimisti e si aspettano la partecipazione di più di 2mila persone. “Perché non fare la storia e perché non farla a Riga, anche se alcuni settori della società lettone non sono pronti? – si chiede Kaspars Zalitis, co-presidente di EuroPride – Nessuno è mai pronto per i grandi cambiamenti. Ma il cambiamento è possibile” (reuters.com).

 

Pier
Copyright©2015ilgrandecolibri.com

Leave a Reply