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Negli scorsi mesi l’opinione pubblica LGBT si è mobilitata contro la legge anti-“propaganda gay” in Russia  e le successive violenze nei confronti di giovani omosessuali nella federazione guidata da Vladimir Putin (ilgrandecolibri.com). Particolare speranza ha suscitato l’idea di esercitare pressione nell’ambito delle Olimpiadi di Sochi del 2014, vuoi col boicottaggio diretto, vuoi spingendo gli sponsor dell’evento ad intervenire per far cambiare la situazione. Le organizzazioni per i diritti LGBT e altre organizzazioni umanitarie, tra cui il network allout.org, ritenevano che questo potesse essere il modo più efficace per costringere Putin a rivedere la politica anti-omosessuale che, dopo le violenze della polizia, ha aperto il campo a numerosi atti, sempre più efferati, compiuti da militanti neonazisti contro le persone omosessuali e, più recentemente, contro le organizzazioni che raggruppano persone LGBT (ilgrandecolibri.com).

L’organizzazione Human Rights Watch (HRW) ha quindi contattato i dieci principali sponsor delle prossime olimpiadi invernali sollecitandoli ad intervenire presso il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) e a far proprie nelle loro missive le preoccupazioni per l’incolumità delle persone LGBT in Russia, che oggi non appare affatto garantita, nonostante le recenti rassicurazioni di Putin. Si chiedeva inoltre di esprimersi apertamente contro le leggi discriminatorie che saranno in vigore anche a Sochi nel prossimo febbraio (hrw.org). HRW ha ricevuto risposte da otto dei dieci sponsor interpellati (hrw.org) e l’ultima lettera giunta è quella della Coca Cola, compagnia nella quale, per tradizione e notorietà del marchio, si riponevano grandi speranze. Invano.

Coca Cola, come già Dow, GE, McDonald’s, Omega, Panasonic, Procter & Galble, Samsung e NBC, si esprime genericamente a favore dei diritti di tutti e quindi anche delle persone LGBT, ma, in sostanza, delega la questione del rispetto delle libertà e delle identità al CIO, il Comitato che dovrebbe garantire lo “spirito olimpico”. Peccato che l’autorità suprema dello sport a cinque cerchi abbia già fatto la sua brutta figura in materia, esprimendo la massima fiducia nelle autorità russe perché durante i giochi non ci siano discriminazioni (ilgrandecolibri.com).

Del resto il CIO si è sempre dimostrato poco sensibile a gay, lesbiche e transgender: come ha ricordato Mauro Valeri nel suo libro “Stare ai giochi”, pubblicato lo scorso anno (ilgrandecolibri.com), il simbolo olimpico è stato concesso a decine e decine di manifestazioni minori, ma viene perennemente negato alla Federazione dei Gay Games (gaygames.org), nonostante negli anni le politiche di discriminazione in ambito olimpico siano progressivamente diminuite.

Che le compagnie multinazionali si mostrino conniventi con regimi autoritari lo dimostra ancora una volta il catalogo Ikea. Già sotto accusa un anno fa, per aver rimosso le immagini di donne vestite in modo “inappropriato” dall’edizione dell’Arabia Saudita (business.dk), la ditta svedese ci è ricascata quest’anno, proprio con l’edizione russa del proprio catalogo. Infatti, nel paese dove è vietata la propaganda LGBT, dalle pagine della rivista è scomparsa la storia di una coppia lesbica che arreda la propria casa con i simpatici e impronunciabili nomi del mobilificio (themoscownews.com). Ikea si è giustificata con la necessità di “rispettare la legge“, ma certo non esce bene neanche da questa storia, che ha finito con l’oscurare il ritorno delle immagini di donne sul catalogo saudita.

Ma se le compagnie multinazionali sembrano fare orecchio da mercante e il Comitato olimpico internazionale non è decisamente da meno, non significa che non valga la pena di lottare e tentare di esercitare pressioni sugli organismi sportivi e i grandi marchi che sponsorizzano eventi sportivi.

Lo dimostra l’ammissione del presidente della Federazione internazionale delle associazioni calcistiche Sepp Blatter, il quale – spronato dalla campagna dell’organizzazione che si batte per l’abolizione delle condizioni di schiavitù nel mondo walkfree.org – ha ammesso l’esistenza del problema dei lavoratori schiavi che sono utilizzati per l’organizzazione dei Mondiali di calcio in Qatar  e ha affermato che tale pratica è inaccettabile e potrebbe portare allo spostamento della competizione dall’emirato ad un altro stato che garantisca diritti ai lavoratori impegnati nel costruire gli impianti sportivi e le strutture ricettive (theguardian.com).

 

Michele
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