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Non era facile riuscire a scrivere una storia del porno gay e del suo modificarsi nelle decadi dal periodo di Andy Warhol ai giorni nostri. Per farlo occorreva una straordinaria documentazione, una grande pazienza e la voglia di non arrendersi alla reticenza di molti protagonisti di quest’industria. Ci è riuscito Kevin Clarke, che qualche mese fa ha ripubblicato con l’editore tedesco Bruno Gmünder “Porn. From Andy Warhol to X-Tube”, una ricerca in cui il caporedattore di Männer ripercorre i momenti salienti che, dopo i ragazzi della porta accanto degli anni ’70 e gli algidi adoni dell’era post-HIV, hanno portato ad essere protagonisti delle recenti pellicole le fantasie più sfrenate e gli uomini comuni.

Tra interviste, analisi e documenti d’epoca, accompagnano le 260 pagine del libro grandi quantità di eccitanti immagini: ma ormai il porno occupa spazio nei musei e nelle analisi sociologiche, è argomento di tesi di laurea e di mostre e convegni. Iniziando a realizzare il sogno di Clarke: che gay sia solo una categoria da cercare sui motori di ricerca dei siti di film porno e che la normalizzazione della pornografia cancelli il moralismo che lo ha sempre relegato al rango di perversione, come spiega in questa intervista al Grande Colibrì.

Come sei riuscito a riunire e selezionare il materiale pubblicato nel tuo libro?

Fortunatamente ho goduto di due fonti. Una è stata l’archivio dello Schwule Museum di Berlino, l’altra il database della casa editrice Bruno Gmünder. Un anno fa ho curato una mostra al museo e quindi conoscevo il personale molto bene. Mi hanno lasciato aprire gli scatoloni dell’archivio in modo molto poco burocratico. Quel che ho trovato sono state pile e pile di riviste porno degli anni ’40, ’50, ’60 e ’70, che alcuni gay hanno lasciato al museo quando sono morti. Oggi è molto complicato trovare queste riviste d’epoca perché la gran parte degli editori non esiste più e le biblioteche non raccolgono materiale pornografico. In aggiunta il museo ha molto materiale importante, pubblicazioni che riflettono tanto la lotta di liberazione gay quanto la crisi dovuta all’AIDS negli anni ’80.

Poi ci sono anche alcune fotografie erotiche del XIX secolo…

Queste immagini sono tra quelle che preferisco nel libro! Anche nel nostro mondo moderno dove ogni genere di immagine porno sembra essere disponibile e non più lontana di un click del nostro mouse, sarebbe davvero difficile trovare foto di questo tipo. Penso che sia una delle ragioni per cui così tante persone hanno comprato il mio libro: è una sorta di viaggio nel tempo. Ti porta oltre qualunque cosa tu possa vedere sugli attuali siti porno, anche se il porno d’annata ha avuto anche lì un sorprendente ritorno.

L’altra fonte, dicevi, è stato l’archivio della Gmünder…

La Gmünder è stata il distributore tedesco per quasi tutte le case di produzione porno americane e, fortunatamente, hanno accesso ai loro database. Questo ha coperto il periodo a partire dal 1980. E dato che Gmünder si occupa ancora di porno, sono anche in contatto con le nuove case di produzione, e questo è stato di grande aiuto. Perché con le persone legate all’industria del porno, come ho scoperto con orrore, è difficile avere a che fare o discutere. La grande eccezione è Lucas Kazan, il regista italiano di Milano. Mi ha aiutato in questo progetto fin dall’inizio. Senza la sua guida non sarebbe stato possibile completare “Porn”. Ogni volta che non ricevevo risposta alle mie mail o l’interlocutore si comportava in modo incomprensibile, Lucas interveniva e mi spianava la strada. Non potrò mai ringraziarlo abbastanza.

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Quali sono state le principali evoluzioni del porno dai tempi di Andy Warhol?

Esattamente come qualunque altra, la storia della pornografia si muove a piccoli passi che a volte formano, in seguito, episodi più grandi. Quello che accadde per esempio ai tempi di Andy Warhol nel Nord America degli anni ’60, è che la pornografia, inclusa quella gay, fu in parte legalizzata. Si era autorizzati a produrre, distribuire e perfino mostrare in pubblico materiale pornografico. Un film come il pionieristico “Boys in the Sand” (I ragazzi nella sabbia) di Wakefield Poole (1971) fu proiettato in un cinema pubblico di Manhattan, pubblicizzato sul New York Times e recensito da riviste come Variety. C’era una coda lunga un miglio intorno al cinema, volevano vederlo non solo uomini gay ma anche donne e perfino uomini etero. “Boys in the Sand” divenne un fenomeno di massa, ma restò un’eccezione.

Com’era la pornografia degli anni ’70?

In quegli anni la pornografia rispecchiava il sesso che le persone sperimentavano tra loro. Porno e realtà erano spesso molto simili. Era la cosiddetta “età dell’oro della promiscuità”. “La pornografia non poteva competere con la vita reale” ricorda un uomo gay in “Gay Sex in the 1970s” (Sesso gay negli anni ’70) di Roger McFarlane: “Qualunque cosa ci fosse nei porno, la potevi avere in abbondanza nelle strade ogni giorno, entrando in qualunque palestra – più begli uomini, più cazzi, più cazzi disponibili – appena fuori dalla porta dei loro appartamenti, la festa inizia in un’ora, puoi andare nel retro già adesso. Era come se la vita fosse un film porno”.

Quand’è che il porno divenne così importante, allora?

L’età dell’oro della promiscuità è finita quando è scoppiato l’AIDS e nessuno osava più fare sesso. Il porno diventò un sostituto. Invece di riflettere la vita reale, com’era stato in precedenza, divenne completamente un prodotto di fantasia. Gli uomini che vedevi, star come Jeff Stryker, Ryan Idol o Ken Ryker, erano un nuovo tipo di attore: omosessuali a pagamento. Indirettamente suggerivano che essere etero significasse essere liberi dal rischio dell’AIDS e quindi essere l’oggetto del desiderio finale per gli omosessuali. Ci fu un’enorme richiesta di film porno in videocassetta e queste nuove superstar, che usavano il preservativo per la prima volta nella storia del porno gay, erano pagate fino a 50mila dollari per film. Tutta una serie di prodotti furono commercializzati usando come marchio i loro nomi.

Il catalogo della Galleria Nazionale dei ritratti di Londra del 2009 afferma: “Lo status di icona di Stryker deriva da qualcosa di più grande della semplice recitazione: è la sua commercializzazione senza vergogna, dal lubrificante Striker alla Jeff Stryker Action Figure fino al più venduto Jeff Stryker Cock and Balls, un dildo con le fattezze del suo pene in erezione. Capitalizzando la sua celebrità in questo modo, si è assicurato di essere la prima pornostar gay a diventare un marchio in proprio”. Stryker è, fino ad oggi, uno dei pochi personaggi del porno gay ad essere diventato una sorta di nome di famiglia.

E poi invece arrivano gli anni ’80 e ’90…

I film porno di quegli anni, tutti realizzati da un pugno di studios negli USA, divennero sempre più di artificiali, perfino surreali. Questi super-fusti con calze bianche, mutande di Calvin Klein, cazzi giganteschi ed espressioni gelide non sembravano mai godere del sesso. Scopavano semplicemente, come macchine. Niente baci, nessuna comunicazione, facevano semplicemente il loro “lavoro”. Non c’è da stupirsi che la gente si sia stancata di vedere queste cose, ad un certo punto…

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E siamo arrivati ai giorni nostri, giusto? Ora ognuno può postare il proprio materiale porno su siti di video o su social network, guadagnandosi forse quei “quindici minuti di celebrità” promessi da Warhol…

Esattamente. Quando Internet ci offrì la possibilità di fare noi stessi i nostri film e pubblicarli, cominciò una vera rivoluzione: la gran parte degli studios furono spazzati via e finirono in bancarotta e un’ondata di cosiddetto “porno realtà” gratuito si è diffusa sul web, con X-Tube come primo e famoso outlet. Inoltre, grazie a Internet, qualunque feticismo era ora disponibile online perché le persone potevano trovare case di produzione specializzate tramite Google o altri motori di ricerca.

Il risultato?

Non c’è mai stato così tanto porno come oggi, e il porno non è mai stato così democratico. Invece di cinque grandi studios che decidono quello che possiamo (e quello che non possiamo) vedere, ora decidiamo noi per noi stessi, facendo le nostre scelte dai siti. Questo ha anche favorito l’enorme boom del porno bareback e di case di produzione come Treasure Island Media, che non si limitano a produrre film senza preservativo, ma fanno dell’HIV e dell’idea di essere contagiati un feticismo con film come “90 Loads in One Week-End” (90 sborrate in un weekend). In proposito segnalo uno scioccante ma notevole documentario, intitolato “The Island” (L’isola). Sicuramente vale la pena guardarlo.

Nel libro di Paul Schulz e Christian Lütjens “Positive Pictures” [Il Grande Colibrì], pubblicato sempre da Gmünder, il tema del rapporto tra porno e HIV è affrontato distinguendo tra bareback praticato all’interno di gruppi di sieropositivi e video che incoraggiano il sesso non protetto. Cosa pensi della faccenda?

Il termine “bareback” è usato in modo molto disinvolto nel porno odierno. E’ diventato una sorta di slogan pubblicitario, come se “sesso bareback” significasse “sesso più eccitante”. Secondo me ci sono due tipi di porno bareback. Uno mostra giovani uomini che fanno sesso in modo tradizionale ma senza usare il preservativo. Sembrano suggerire: “Siamo giovani e in salute, l’HIV non ci riguarda perché siamo nati ben dopo gli anni dell’AIDS e quindi non dobbiamo preoccuparci dei preservativi”. La gran parte delle principali case di produzione online di nuova generazione mostrano questo genere di sesso, inclusa Bel Ami in scene selezionate.

L’altro modo è quello dei film che fanno dello sperma un feticismo in modo esplicito, con l’idea di iniettare quanto più sperma possibile in un’altra persona, pratica definita come “breeding”. Come a dire: “Non abbiamo paura dello sperma e dell’HIV perché non ci importa o perché siamo già sieropositivi e quindi non abbiamo più bisogno di alcuna precauzione. Possiamo semplicemente divertirci!”. I “breeders” spesso praticano sesso sfrenato sullo schermo, e molti spettatori sembrano trovare questo genere di sesso più eccitante del genere dei giovani e carini presentati con cura. Di conseguenza, molti barebackers sono diventati una sorta di eroi urbani, icone di uno stile di vita, se vogliamo chiamarle così.

Credi che influenzino anche le pratiche sessuali del pubblico?

Conosco personalmente un sacco di gente che mira a copiare questo modello di bareback, compreso il fatto che organizzano tra loro feste dove dieci attivi vengono nel culo ad un passivo volontario, filmando tutto per uso personale per rendere la cosa ancora più perversa. Questi due tipi di porno bareback non hanno molto in comune se non lo slogan per la vendita.

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Perché il porno bareback è diventato così popolare?

Secondo me gli uomini gay sono stanchi dell’era dell’AIDS che non sembra finire mai e delle sue conseguenze. Vogliono andare oltre, o tornare ai gloriosi anni d’oro della promiscuità. Non è probabilmente un caso che il porno d’epoca degli anni ’70 stia conoscendo un grande ritorno su Internet, con un pubblico composto anche da giovani che non hanno vissuto quegli anni in prima persona. Il sesso che vedi lì è molto più rilassato e libero al confronto dei film degli anni ’80 e ’90. Non è solo l’uso del preservativo: è l’intero spirito che si è perso – e che molti cercano di riconquistare.

Resta da vedere se il bareback sia il modo più veloce per raggiungere l’obiettivo. Molti, tanto giovani quanto anziani, sognano di copiare i grandi porci affamati di sesso bareback che possono vedere e ammirare online perché, in un certo senso, il porno rispecchia la vita reale e nello stesso tempo ispira sempre la vita reale. Dato che questo problema del bareback c’è, ed è un problema, e credo che dovremmo affrontarlo e discuterlo apertamente invece che far finta che non esista, come fanno, in qualche modo, gli autori di “Positive Pictures”.

Il porno è ancora considerato dalle masse come qualcosa di sbagliato e anche nella comunità LGBT un sacco di gente pensa che non si dovrebbe diffondere. Cosa ne pensi?

Di recente una ricerca universitaria ha mostrato che gli uomini etero e i teenager che fanno uso di grandi quantità di porno online sono più tolleranti nei confronti delle minoranze sessuali. Penso sia una grande notizia!

E’ qualcosa di rivoluzionario, non credi?

E’ auspicabile che, per la prossima generazione che cresce con il porno online, il sesso gay sia solo una categoria su PornHub accanto a “grosse tette” o “MILF”. Se clicchi una categoria, vedrai persone di quel tipo fare sesso di quel tipo: ragazzo con ragazzo, ragazzo con ragazza, ragazza con ragazza, qualunque cosa mescolata, trans, bondage, ogni cosa accanto all’altra. Su questi siti porno il sesso è finalmente libero dall’ideale cristiano della riproduzione e ridotto a divertimento. Niente di più, niente di meno. Puoi vedere questo, puoi godere di questo, senza sentirti colpevole moralmente. Questo è davvero rivoluzionario. E naturalmente ha enormi implicazioni per la società cristiano-conservatrice. Se questa fosse l’unica cosa che il porno ha ottenuto nel nuovo millennio, in termini di liberazione, dovrebbe ricevere l’Oscar immediatamente.

Il porno non ha ancora ottenuto l’Oscar, ma sta ricevendo molta più visibilità che in passato, come dimostrano anche la mostra che hai curato a Berlino e il tuo libro…

Le case di produzione porno – gay, etero, queer o quel che volete – sono studiate in rinomate università in tutto il mondo; mostre in musei acclamati presentano il porno nell’arte o star del porno viste da grandi artisti come Warhol, Jeff Koons o Pierre & Gilles; ci sono conferenze accademiche sull’influenza del porno nella letteratura, nel cinema, eccetera. Al Theatermuseum di Vienna lo scorso anno c’è stata perfino una mostra su qualcosa di apparentemente così fuori moda: “La nascita dell’Operetta dallo spirito della pornografia”. Mi ha fatto impazzire! Il porno non sta per andarsene. Al contrario, è diventato, sempre più apertamente e sempre più concretamente, una parte della vita quotidiana, ad ogni livello. Era già stato così in passato, solo che nessuno ne aveva parlato.

 

Michele
©2013 Il Grande Colibrì

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