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Questa è la storia di una ragazza sudafricana, di colore, una delle prime donne a dichiararsi apertamente lesbica in Sudafrica, una star del calcio, il capitano della nazionale femminile. Si chiamava Eudy Simelane. Poco prima di morire, chiamò la madre, era felice, perché nonostante fosse “pubblicamente lesbica” aveva trovato un lavoro! Le sue continue denunce contro la discriminazione in Sudafrica e la lotta per i diritti LGBTQI (lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer e intersessuali) manifestata dentro e fuori dal campo la convertirono in un simbolo per tanti, ma anche in una nemica per altri.

Confessò alla madre di essere lesbica quando aveva 12 anni, faceva volontariato con i malati di HIV, odiava le gonne, voleva solo giocare a pallone, non esistevano le bambole per lei, il suo desiderio era poter vedere due donne, una bianca e una nera, camminare libere tenendosi per mano.

All’1.30 del 28 aprile 2008 uscì con i suoi amici dal Noge’s Tavern di KwaThema, il suo paese, e si trovò di fronte un gruppo di uomini violenti. Non si sa bene cosa accadde, alcuni dei suoi amici scomparvero e Eudy fu trovata distesa in un fossato, i suoi vestiti erano spariti. Fu violentata e uccisa, l’autopsia registrò la presenza di 28 coltellate sulla faccia, sul torace e sugli arti inferiori, e tagli nella pianta del piede. In meno di 24 ore la polizia trovò i suoi vestiti e i 4 stupratori, che all’inizio dichiararono che il loro era stato solo un furto e che non avevano riconosciuto Eudy.

Nel 2006, precisamente il 1° dicembre, in Sudafrica passò la Union Bill, la legge a favore delle unioni civili: il paese diventò il primo e unico ad aver legalizzato i matrimoni tra persone dello stesso sesso. Nel 2004 fu legalizzato il cambio di sesso (che presuppone un’ufficiale operazione chirurgica), nel 2010 furono approvate le adozioni e dal 2011 le terapie riparative non sono legali.

Eppure in Sudafrica la discriminazione verso le persone LGBTQI è altissima nei luoghi di lavoro, nelle scuole e in famiglia. Ciò che fa davvero paura sono i cosiddetti “corrective rapes”, ovvero gli “stupri correttivi”. Quello subito da Eudy Simelane fu un vero e proprio stupro correttivo.

Sostanzialmente gli stupratori agiscono affinché una donna capisca una volta per tutte qual è la sua natura, cosa vuol dire essere donna.

Circa un mese fa, ai primi di ottobre, una coppia lesbica fu stuprata dentro le mura di casa. Le due giovani donne furono seguite, mentre uscivano da una festa cittadina, fino a casa. Stavano quasi dormendo, quando furono svegliate da dei rumori e in breve tempo si trovarono circondate da alcuni sconosciuti. Le presero con la forza, le scaraventarono sul letto e le stuprarono.

Una di loro racconta che non ebbe dubbi, fin da subito si accorse che era tutto studiato e premeditato, perché avevano portato i preservativi (a volte però quest’accortezza manca e la vittima si ritrova incinta del suo stupratore). Sempre la stessa ragazza ricorda con disgusto gli insulti, si ricorda che le hanno detto che le stavano insegnando cosa si prova a essere una donna, che le stavano insegnando a esserlo.

Stava subendo il secondo stupro, perché 3 anni fa un uomo sconosciuto oltraggiò per la prima volta il suo corpo; tutto questo le ha comportato diffidenza verso tutti gli uomini, perché si comincia ad avere paura di qualunque uomo, anche degli amici.

Il problema che segue, sempre che la vittima sopravviva (e sono veramente poche), è che essa non denuncia perché, come spiega Joy Kunene, leader dell’organizzazione LGBT sudafricana del Basso Veld, hanno paura di diventare vittime anche degli agenti di polizia (Asinavalo). Il caso di Eudy fu unico, proprio perché i colpevoli furono arrestati e processati: quando qualcuno prende coraggio e denuncia, passano anni prima che si verifichi un vero e proprio processo, se mai viene aperto.

Gli stupri correttivi sono una vera e propria piaga sociale, una vergogna per il Sudafrica, e sembrano aumentare sempre di più: 500mila l’anno, uno ogni 17 secondi e, dei pochi casi per cui si arriva a un processo, 9 casi su 10 si chiudono senza un colpevole. Potremmo elencare nomi infiniti di ragazze stuprate e anche uccise, come Zoliswa Nkonyana, 19 anni, accoltellata e massacrata con una mazza da golf nel 2006.

Pearl Mali a 12 anni cominciò a essere stuprata regolarmente per ben 4 anni da un uomo vecchio su decisione della madre, che sospettava della sua omosessualità. A 16 anni rimase incinta e dopo l’ennesimo tentativo di denuncia la polizia impose un ordine restrittivo contro l’uomo, ma quando il bambino compì il settimo mese fu allontanato dalla madre, per paura che diventasse gay per il solo contatto con Pearl.

È così che un paese con delle leggi all’avanguardia “redime” le lesbiche. Nel 2011 ci fu la proposta di considerare lo stupro correttivo un crimine dettato dall’odio e dalla discriminazione (fondata sull’orientamento sessuale), ma venne bocciata.

Purtroppo il Sudafrica è ancora un paese dove l’ignoranza è difficile da debellare: un uomo su quattro ha stuprato almeno una donna  nella sua vita. Nel 2013 un sondaggio della Pew Research Global Attitudes Project rilevò che  il 61% della popolazione non accetta l’omosessualità.

A fine ottobre di questo anno, per la prima volta, la proposta di legge (Government Gazette) sulla prevenzione e la lotta contro i crimini d’odio (hate crimes) e i discorsi d’odio (hate speech) è stata presa in considerazione, e io mi auguro davvero che possa diventare legge. Se passerà, aggiungerà le aggravanti necessarie al momento della valutazione della pena e tutti i crimini potranno essere differenziati e tracciati a seconda del movente, cosa che fino ad ora non è stata possibile. Per esempio ogni offesa verbale, che accada per strada o su un social media, potrà essere punita.

Dobbiamo assolutamente seguire gli sviluppi di questa proposta di legge, anche se certo non eliminerà il razzismo, perché per quello ci vuole un processo educativo, e l’agire umano, purtroppo, non si cambia con una legge.

 

Ginevra
@2016 Il Grande Colibrì

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