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Con la Conferenza Internazionale su Sviluppo e Migrazioni, che si è tenuta a Roma il 23 luglio, l’attuale governo italiano ha messo in chiaro diversi punti.

In breve, il suo obbiettivo principale è contrastare quella che definisce sommariamente “immigrazione illegale”. Un fenomeno che alimenterebbe, secondo il governo, il business dei trafficanti e sarebbe fonte di problemi per chi deve gestire gli arrivi in massa. L’immigrazione illegale, in quanto tale, viene anche ritenuta la causa principale dei rischi che affrontano le persone migranti durante il viaggio”

Per questo ha deciso di creare un Tavolo a cui parteciperanno numerosi Paesi che si affacciano sul Mediterraneo e che potrebbero controllare meglio i flussi migratori verso l’Europa, ma anche gli stati del Golfo, del Corno d’Africa e alcuni stati del Sahel. Allo stesso tempo vuole promuovere un piano di cooperazione sul modello del Piano Mattei, finalizzato al miglioramento delle condizioni economiche e di vita nei Paesi da cui partono lɜ migranti direttɜ in Europa, per incentivarlɜ a non partire. Questo piano dovrebbe essere spiegato dettagliatamente a novembre, durante la quarta Conferenza Italia-Africa.

UE al tavolo con stati anti-LGBT nella “gestione” dei flussi migratori

Conferenza Internazionale su Sviluppo e Migrazioni © Foto di AGF

Erano presenti cinque capi di Stato (Tunisia, Emirati Arabi Uniti, Mauritania, Libia, Cipro), otto primi ministri (Libia, Etiopia, Egitto, Malta, Giordania, Nigeria, Algeria, Libano), e otto ministri (Arabia Saudita, Marocco, Oman, Kuwait, Turchia, Grecia, Qatar, Bahrein). Erano presenti anche la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e del Consiglio Europeo Charles Michel, nonché una rappresentanza di UNHCR (Alto Commissariato ONU per i Rifugiati).

Il 23 luglio sono stati evidenziati due punti importanti: il fatto che il governo italiano creda molto nel valore dei confini, a suo dire ingiustamente minimizzato, e il fatto che voglia superare la diffidenza verso i Paesi che potrebbero aiutarlo a governare e limitare i flussi migratori.
A margine, molto a margine, UE e UNHCR hanno parlato dell’importanza di garantire comunque delle rotte sicure per profughɜ e richiedenti asilo.
L’auspicio dellɜ partecipanti è che la Conferenza del 23 luglio possa avviare un piano pluriennale, già battezzato Processo di Roma.

Ursula von der Leyen e Giorgia Meloni

Ursula von der Leyen e Giorgia Meloni. © Foto di Il Mattino

Senza voler fare un processo alle intenzioni, bisogna comunque evidenziare che con questi presupposti alcune perplessità sono legittime.

In una lettera inviata al governo italiano, ventisette ONG provano a spiegare alcuni dei rischi connessi all’avvio di un partenariato strategico con governi autoritari, poco trasparenti e non inclini a garantire i diritti umani.

D’altra parte, basterebbe considerare il curriculum, in tema di diritti LGBTQIA+, della maggior parte dei Paesi rappresentati alla Conferenza. Gli Emirati Arabi e l’Arabia Saudita condannano le persone LGBTQIA+ alla pena di morte, così come la Mauritania. La Libia va dai 4 anni di carcere alla pena di morte. La Nigeria arriva a 14 anni di carcere (ma negli stati islamici si applica la pena di morte). L’Egitto può arrivare a punire le persone LGBTQIA+ con 17 anni di carcere, l’Etiopia arriva a 15 anni, il Qatar a 7, il Kuwait a 6. Marocco, Oman, Tunisia, Algeria si fermano “solo” a 3.

La maggior parte dei Paesi che, con il Processo di Roma, dovrebbero impegnarsi a limitare i flussi migratori è direttamente responsabile del destino delle persone LGBTQIA+ che tentano di fuggire in Europa per chiedere asilo; e questo vale sia per i cittadini dei Paesi stessi, sia per migranti che vi transitano.

C’è un dettaglio importante che si tende ad omettere: i trafficanti che intercettano le persone nei Paesi di origine non organizzano quasi mai i viaggi fino all’Europa, ma solo fino ai Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Solo in un secondo tempo chi è arrivato in Libia o in Tunisia può provare ad organizzarsi per attraversare il mare, e questo può richiedere anche alcuni anni.

Nel caso specifico delle persone LGBTQIA+, che spesso devono fuggire dal loro Paese all’improvviso, non appena vengono scoperte, la meta iniziale del loro viaggio non è l’Europa: in genere succede che durante la loro fuga disperata vengano intercettati dai trafficanti, che gli prospettano come in Libia o in Tunisia nessuno verrà a cercarli e che in questi Paesi potranno rifarsi una vita. Non avendo molte alternative accettano, e solo in un secondo tempo si rendono conto che – al di là del rischio di finire in qualche campo di prigionia – si ritrovano di nuovo in Paesi in cui l’omosessualità è illegale. Solo in quel momento molti di loro decidono di rischiare la vita per sbarcare in Europa, rivolgendosi agli scafisti.

Quindi un modo per rendere più efficace la collaborazione fra l’Europa e i Paesi da cui partono i flussi migratori, o che ne sono attraversati, sarebbe quello di prevedere anche una revisione della loro politica sui temi LGBTQIA+ e un più generale rispetto dei diritti umani fondamentali. Una prospettiva che, allo stato attuale dei fatti, è pura fantascienza. Tant’è che la questione non è stata nemmeno sfiorata, anche perché era evidente che la Conferenza di Roma aveva lo scopo di ricondurre la discussione al solo tema della migrazione economica, glissando su tutto il resto.

Questo approccio pone diversi interrogativi, anche abbastanza inquietanti. Emerge una continuità di fondo con i provvedimenti emanati dal governo italiano dal 2023 in tema di migrazioni, ma l’avvio del Processo di Roma rischia di vincolare la posizione dell’Italia – a livello economico e diplomatico – ben oltre la durata dell’attuale governo, con una serie di conseguenze molto difficili da prevedere.

 

 

Valeriano Scassa
©2023 Il Grande Colibrì
immagine: elaborazione da foto di AGF

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