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Se Stephen King avesse dedicato i suoi racconti non agli zombie, ma ai disegni di legge anti-gay in Uganda, non avrebbe scelto il titolo “A volte ritornano”, ma “Ritornano sempre”. La proposta per condannare alla pena di morte prima e all’ergastolo poi le persone omosessuali è stata crivellata dalle critiche dell’opinione pubblica mondiale, avvelenata da alcuni dei suoi stessi promotori, bombardata da minacce di sanzioni, seppellita in modo apparentemente definitivo dal presidente ugandese Yoweri Museveni… ma è riuscita sempre a riemergere dalle sabbie dell’oblio e a continuare il proprio caparbio cammino. Aveva persino raggiunto la propria meta, con l’approvazione del parlamento e la ratifica del presidente, ma un vizio formale aveva portato alla sua cancellazione da parte della Corte suprema. Il sospiro di sollievo era stato generale: il film horror sembrava finito, scorrevano già i titoli di coda.

Ma ecco che sullo schermo una mano spunta da sotto la terra, come lo scherzo di un regista di B movie. Improbabile, incredibile, impossibile, ma vero: David Bahati, il deputato ugandese che ha legato indissolubilmente la propria carriera politica all’infame legge nota come “Kill the gays”, ha annunciato che ripresenterà per l’ennesima volta la sua proposta in parlamento. Questa legge-zombie, morto vivente affamato di altra morte, oggi però fa meno paura che in passato, anche se sottovalutarla sarebbe un errore: il presidente Museveni sembra decisamente contrario (ma non è un tipo di cui fidarsi: Il Grande Colibrì), i favorevoli alla proposta sono diventati meno numerosi e meno potenti, il movimento LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender), al contrario, si è rafforzato.

Da dove deriva questa nuova forza? Le associazioni per i diritti di omosessuali e transgender hanno fatto una scelta vincente rinunciando a presentarsi come una “lobby” tesa a difendere esclusivamente i propri interessi, per impegnarsi invece su un fronte molto ampio di battaglie: la difesa dei diritti umani (dalla libertà di espressione al diritto ad un processo equo), lo sviluppo dei sindacati, il contrasto alla corruzione e, soprattutto, la lotta alla povertà, constatando come in un paese povero non potrà mai esserci una tutela reale dei diritti individuali. Come riassume Adrian Jjuuko, avvocato alla guida del Forum per la consapevolezza e la promozione dei diritti umani (HRAPF), “la comunità LGBT deve fare passi avanti insieme al resto della popolazione, altrimenti finiremo tutti nelle stesse sabbie mobili” [The Daily Beast].

La situazione per le persone LGBT rimane comunque drammatica: nonostante le autorità neghino qualsiasi forma di persecuzione, un rapporto [Scribd] dell’organizzazione per i diritti umani Chapter Four Uganda denuncia arresti per reati come atti osceni, sodomia e sesso contro l’ordine della natura avvenuti anche dopo confessioni estorte con la violenza o con minacce. Una volta in carcere, i detenuti omosessuali vengono malmenati e sono sottoposti a ispezioni anali, mentre gli viene negato arbitrariamente il diritto a uscire di prigione con il pagamento di una cauzione.

E spesso neppure la liberazione dal carcere è una vera liberazione: la polizia può deliberatamente rilasciare gli omosessuali in zone dove rischiano la vita, senza ovviamente garantire loro neppure un minimo di protezione. E’ la situazione che stanno vivendo alcuni ragazzi a Kano, sottoposti per cinque giorni alle torture delle forze dell’ordine e ora nascosti nelle campagne da settimane, in attesa di giudizio e terrorizzati all’idea che possano finire nelle mani della folla inferocita che voleva linciarli [Il Grande Colibrì]. La campagna di solidarietà internazionale per garantire la loro sopravvivenza è fallita: in un mese sono stati raccolti appena 150 dollari (circa 135 euro). L’Uganda, evidentemente, è un film passato di moda.

 

Pier
©2015 Il Grande Colibrì

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