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Avete mai provato la felicità di ritrovarvi con uno sguardo nuovo, di vedere cose mai viste prima eppure riconoscerle, come se stessero lì ad aspettare di incontrarvi per avvolgervi con il loro carico dirompente e tumultuoso di emozioni e significati? E’ una felicità dolorosa diventare l’altro, è un dolore gioioso indossare la carne dell’altro e sentirne tutto il peso. Succede quando si stringe un legame con persone in carne e ossa, ma anche – più raramente – quando si leggono alcuni libri. Saleem Haddad, scrittore di origini iracheno-libano-palestino-tedesche di cui abbiamo pubblicato qualche tempo fa un interessante articolo [Il Grande Colibrì], ci regala i suoi occhi nel suo romanzo di esordio “Ultimo giro al Guapa” (E/O 2016, 18€, 320 pp.). E ci dona uno sguardo di profonda intelligenza e di una sincerità così nuda e completa da diventare spesso assai scomoda.

ESSERE “GAY” NEL POST-PRIMAVERA

In un paese arabo senza nome, che sembra un frullato esplosivo di Egitto, Giordania, Libano e altri stati della regione, Reza è un giovane traduttore disilluso (ma quanto disilluso?) dalle primavere arabe e dalla repressione delle istanze di libertà politiche e sociali, ma anche personali: la madre libera e indipendente è stata costretta alla fuga dal conformismo esasperato della nonna del protagonista, non a caso paragonata alla figura del presidente-dittatore del paese. Il libro prende le mosse dalla drammatica notte in cui questa anziana signora, ossessionata da “cosa direbbe la gente?”, scopre Reza a letto con un altro ragazzo.

“Ultimo giro al Guapa” è un romanzo che racconta i tanti modi diversi con cui la diversità sessuale può essere vissuta nel mondo arabo, offrendoci un serie di bellissimi personaggi lontani da qualsiasi schematismo monolitico tipico del pregiudizio: Reza perde la battaglia davanti allo specchio per trovare una parola adatta a definire i propri desideri, che Taymour nasconde dietro una maschera di perfetta virilità. E poi c’è Maj, che unisce lotta politica per i diritti e spettacoli da drag queen nel locale gay-friendly clandestino che dà il titolo al libro, il “Guapa” appunto. E ci sono anche le figure anonime dei tassisti, che si accontentano di qualche pompino rubato in macchina.

L’IMMOBILISMO DELLA VERGOGNA

Nonostante vite tanto diverse, tutti sono condizionati dall’eib, un sentimento di vergogna opprimente che è stile di vita, codice di comportamento, sistema sociale. Haddad illustra con grande efficacia, ritornando quasi ossessivamente sul concetto, come la cultura dell’eib sia un potente strumento di controllo e repressione. Ma anche, dal momento che l’autore rifugge formule preconfezionate in bianco e nero, come sia possibile muoversi all’interno di questa cultura come abili strateghi che possono ribaltare la situazione a proprio vantaggio: l’uomo che la sgrida perché è vergognoso ascoltare musica ad alto volume durante l’ora della preghiera, è messo a tacere da Basma, la migliore amica di Reza, con la semplice replica che è vergognoso immischiarsi negli affari di una donna.

“Ultimo giro al Guapa” è anche un libro che si riempie senza vergogna di splendide pagine politiche. La politica nelle parole di Haddad è un sentimento vitale, pulsante, rabbioso, dolcissimo. E suona come un antidoto all’antipolitica stanca, depressa e deprimente che siamo abituati a vedere e a vivere.

“E ben presto non pensai più a Sufyan. Pensai ai miei insegnanti, a Marx, Chatterjee e Sa’id. Continuai a gridare e pensai al potere e all’imperialismo, e mi resi conto che era tutto collegato, che sfidare le menzogne e l’oppressione era anche combattere in nome dell’amore. E il mio amore per Sufyan era il mio carburante. I miei sentimenti per lui mi davano l’energia necessaria per urlare le parole a pieni polmoni. Continuai ad agitare i pugni in aria e a gridare, e Leila rimase lì a gridare al mio fianco finché non ci perdemmo in un vertigine d’amore e resistenza”.

GLI ARABI E GLI OCCIDENTALI. E NOI

E tra le riflessioni politiche non può mancare un percorso preciso di critica e autocritica al rapporto tra Occidente e mondo arabo, alla rappresentazione che gli uni fanno degli altri e viceversa, alle semplificazioni falsamente ingenue, all’uso strumentale delle libertà e delle repressioni sessuali compiuto qui e altrove. Come un faro, l’analisi lucida di Haddad illumina violenze e ipocrisie contrapposte (dittature laiche, fondamentalismo religioso, islamofobia, omofobia…) senza fare sconti, eppure mantenendo un enorme capacità di comprensione umana, di compassione, di empatia. Una capacità enorme nonostante tutto che è l’unico strumento che – forse – ci salverà.

 

Pier
©2016 Il Grande Colibrì

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