Skip to main content

Abdellah Taïa, scrittore e regista, è nato nel 1973 in Marocco e arrivò definitivamente in Europa nel 1998, nel mio stesso anno. Mentre venivo alla luce, nel 1996, Abdellah perdeva, in quello stesso anno, il padre. Ho sempre intravisto, in questa associazione di date e nella nostra omosessualità in comune, il mio strano legame ossessivo verso Abdellah Taïa.

Abdellah è stato il mio amore adolescenziale e la mia ossessione. Mi sono formato sentimentalmente sui suoi romanzi, che lessi per la prima volta nel 2011.

Il suo primo romanzo pubblicato in Italia fu “L’esercito della salvezza” (isbn edizioni 2009, pp. 127, € 6,75, ibs), seguito da “Uscirò da questo mondo e dal tuo amore” (isbn edizioni 2010, pp. 124, € 6,75, ibs) e infine “Ho sognato il re” (isbn edizioni 2011, pp. 142, € 8,45, ibs).

Abdellah Taïa ci accompagna per mano nel suo mondo, nella sua Salè, nella sua numerosa famiglia, nel suo tormento per i suoi amori impossibili, in primis per suo fratello, delineando un amore quasi incestuoso, ma mai volgare, e infine nei suoi viaggi in un’Europa così lontana e così presente nell’immaginario collettivo di noi arabi. Si mostra a noi con un occhio attento, privo di qualsiasi autocensura.

Abdellah non è semplicemente uno scrittore, ma è lo scrittore che ha scardinato il tradizionale silenzio arabo per quanto concerne il sesso e la sessualità.

Certo prima di lui vi furono nomi illustri – per citarne solo uno Mohammed Choukri che ha scandalizzato il mondo arabo con il suo romanzo “Il pane nudo” (Theoria, 1989, fuori commercio). Ma Choukri e Taïa sono lontani anni luce l’uno dall’altro.

Il primo è figlio dell’epoca coloniale, un autodidatta che si è creato da solo in un clima di assoluta violenza e prostituzione. “Mi ero trovato un nuovo mestiere, dopo quello di ladro e di mendicante. […] Anche il cazzo, ora, doveva contribuire alla mia sopravvivenza” (p. 97).

Abdellah Taïa sottolinea, con le sue esperienze amorose, la normalità dell’amore in una visione tanto privata quanto e soprattutto sociale in un paese dove parlare di sesso e di amore è ancora un tabù.

Il suo aperto coming out sulla rivista “Tel Quel” nel 2007, come primo scrittore apertamente gay, ha suscitato scandalo nella società marocchina. Alla domanda su come avesse trovato il coraggio di svelare apertamente la sua omosessualità, Taïa risponde senza censure:

“Non si è trattato propriamente di coraggio, piuttosto di un momento di estrema lucidità, peraltro inatteso, in cui ho percepito una forza che non sospettavo di avere. Avevo già parlato di omosessualità nei tre libri pubblicati all’epoca [Mon Maroc, Le rouge du tarbouche, L’armée du salut; ndr], ma non avevo mai pianificato una pubblica ammissione, per di più a un giornale marocchino, come poi è successo.

“Così, quando il giornalista mi ha posto la domanda in maniera diretta, ho avuto paura. Ma invece di tacere, di nascondermi, ho risposto in modo altrettanto diretto. Era il momento di essere precisi, chiari e di andare fino in fondo. Era l’occasione per rompere con l’ipocrisia, un problema che imprigiona la società marocchina e che va ben oltre la questione dell’omosessualità. Ho capito in seguito che quella ‘confessione’ aperta non era altro che il proseguimento di un percorso interiore intrapreso proprio attraverso la scrittura. Un percorso letterario ma anche politico. Scrivere ha rappresentato il passaggio dalla teoria all’azione, la mia discesa sul terreno di battaglia per difendere l’idea di un Marocco libero da tutti i suoi complessi”.

Agli attacchi della stampa conservatrice e di certa opinione pubblica, Taïa risponde in modo lucido e toccante, partendo come sempre dalla sua storia, con una lettera aperta [Yalla Italia] dove spiega l’omosessualità alla madre.

Taïa ci insegna l’importanza delle parole, in una società che tende a nasconderle fra le quattro mura. La sua lingua è lirica e ammalia per la sua musicalità e per le sue pause, che ti permettono un profondo respiro, un modo per ritornare continuamente alla vita.

Le parole sono talmente importanti che si è sempre firmato per intero, dando tutto di sé, marcando così una netta differenza con un altro scrittore marocchino gay, Rachid O., che ci ha regalato romanzi biografici (tutti editi dalla Playground)  importantissimi, ma non si è mai firmato per intero.

Le parole sono così importanti che in arabo solo di recente si è coniato un termine neutro per indicare la parola “omosessuale” (مثلي, mithli), mentre prima si utilizzavano solo termini dispregiativi. Taïa è uno scrittore che ha dato tantissimo alla comunità LGBTQI marocchina, ma prima di tutto araba. Citando Rachid O., “ci sono individui che da soli giustificano l’esistenza dell’umanità intera”. Il sentimento di riconoscenza è assolutamente sentito e dovuto.

Il mio modo di essere omosessuale è intrinsecamente collegato al mio Marocco, così come lo è per Abdellah Taïa, e il mio modo di vedere Taïa, in questo articolo, è strettamente legato all’importanza e al ruolo che ha avuto per la comunità gay araba.

Ma Abdellah Taïa non può essere imprigionato solo in questo ruolo. Taïa non è solo questo, è anche lo scrittore che racconta della sua terra, di questo Marocco arcaico, dei suoi quartieri, delle sue città, della sua povertà e  della violenza di questo paese. Dopo solo poche pagine il lettore è stregato da una inspiegabile nostalgia verso un  paese che non ha mai visitato, dalle sue voci, dai suoi odori e persino dalla sua polvere, che impregna ogni cosa. Un fascino che corre dai suoi occhi e arriva ai nostri, assieme allo stupore di vedere per la prima volta l’Europa con la sua Francia e la Svizzera.

Abdellah è stato per me una vera scuola di coraggio e di attivismo. Lo celebravo e me lo portavo dietro con orgoglio sui banchi del liceo, presentandolo a tutti i miei amici, quasi imponendo loro di conoscerlo così come lo conosco io e di amarlo così come lo amo io. Ho costruito negli anni un intero altare su Abdellah Taïa, un intera mitologia, che mi ha portato a leggere  tutto ciò che mi era possibile trovare su di lui.

E, nel difenderlo dagli attacchi omofobi, mi sono ritrovato esposto inconsapevolmente al mondo e in quella nudità ho trovato il mio naturale modo di esistere, ho trovato cioè la mia identità  di attivista.

 

Anes
©2016 Il Grande Colibrì

Leave a Reply