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Help me Afghanistan: questo l’oggetto di una mail che arriva a Il Grande Colibrì poco dopo la presa della capitale Kabul da parte dei talebani. Non è stato facile trovare il coraggio di aprirla, men che meno di leggerla, perché già so che non abbiamo strumenti per aiutare concretamente chi vuole scappare, già so che dobbiamo rispondere senza dare false speranze. E mi si spezza il cuore.

In pericolo di vita

Abdul (nome modificato per ragioni di sicurezza) vive a Kabul con la sua famiglia e ora che i talebani hanno preso il potere nella capitale lui ha paura. Il ragazzo riceve minacce di morte: nonostante poche persone sappiano della sua omosessualità, qualcuno lo minaccia di rivelare tutto ai talebani. Ad Abdul non resta altra scelta che chiudersi in casa e cercare di uscire il meno possibile: “Ho paura che i talebani mi sparino, la mia vita è a rischio perché sono gay. La gente lo dirà ai talebani e loro non accettano persone gay in Afghanistan”.

Fa davvero male leggere il suo appello, in cui ci scrive: “Come posso spiegare la mia sofferenza? Aiutatemi per favore!”. Da quando Kabul è caduta in mano ai talebani – ci spiega – sta perdendo la testa e la speranza per la paura costante, per il timore di un outing, per il terrore che lo uccidano da un momento all’altro. Abdul è preoccupato anche per la sua famiglia. Ha cercato di andare via da casa sua, ma per i talebani non è certo difficile trovarlo.

E come Abdul che ha scritto a Il Grande Colibrì, ci sono tantissime storie che si somigliano, tantissime persone che vivono lo stesso incubo in Afghanistan. Balkhi, Hasan, Hilal e altrə raccontano alla CNN come si nascondono dai talebani. C’è chi teme per i genitori, poiché potrebbero essere uccisi per aver nascosto una persona LGBTQIA+ (lesbiche, gay, bisex, trans, queer, intersex, asex), chi riceve telefonate anonime con minacce di morte, chi denuncia l’esistenza di truffe come visti falsi per l’Uganda, chi ha visto o è venuto a sapere di amichə o fidanzatə uccisə. Prima della presa del potere dei talebani la vita non era certo facile, adesso però sembra che “i talebani hanno informazioni esatte su ogni famiglia“. Chiusə in casa o nascostə da amichə, le persone LGBTQIA+ raccontano di stupri e violenze da parte dei talebani.

afghanistan donne musulmane burqaLa Fortezza Europa

Cosa possiamo fare da qui per Abdul? Come possiamo aiutarlo direttamente? Il sistema di asilo europeo, oltre ad essere decentrato e quindi affidato ai singoli stati (stato in cui vai, legislazione che trovi), presuppone che una persona debba essere sul territorio europeo per poter richiedere qualche forma di protezione. E praticamente non ci sono vie legali per permettere a chi fugge dal proprio paese di raggiungere l’Europa in maniera sicura. Di fatto le persone vengono spinte a utilizzare canali illegali attraverso tutto un sistema legale (e illegale) di dissuasione che ostacola e scoraggia le persone migranti.

Per non parlare delle continue violazioni del diritto dell’Unione Europea da parte di molti paesi, per esempio in fase di accoglienza delle richieste di asilo: la Grecia, per esempio, non molto tempo fa sospese le richieste senza ragione. E anche se nei venti anni di presenza occidentale dall’Afghanistan si è sempre continuato a scappare, molte persone, nonostante ne avessero titolo, non hanno ottenuto alcuna forma di protezione. “Fate finta di essere etero, andatevene a Kabul e in bocca al lupo”: questa la risposta della bella Europa alle persone richiedenti asilo.

Un’altra “soluzione” in voga ultimamente è quella di costruire muri. Muri lunghi chilometri per difendere i confini dell’Europa dalla “pericolosa invasione” di chi fugge da orribili situazioni. Muri per difendersi da persone come Abdul. Quanta tristezza, quanta rabbia leggere che 12 paesi (Austria, Cipro, Danimarca, Grecia, Lituania, Polonia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia e Slovacchia) hanno chiesto alla Commissione europea finanziamenti per la costruzione di muri!

migranti muro messico usaLa “reputazione” UE

Ma Bruxelles non si è scomposta. La commissaria UE agli affari interni Ylva Johansson non ha autorizzato i finanziamenti UE, dicendo che questi paesi hanno diritto di costruire muri e recinzioni, ma dovranno usare le loro finanze. Per Johansson, oltre alla necessità di proteggere i confini, è importante anche proteggere i valori europei e i diritti fondamentali. Perciò ha chiesto a Croazia e Grecia di indagare sui respingimenti violenti. I due paesi hanno ammesso di respingere brutalmente le persone migranti che si avvicinano ai loro confini, lasciandole in mare o rispedendole verso la Bosnia a suon di manganellate e violenze di ogni tipo. Per la commissaria, tali azioni “danneggiano la reputazione di tutta l’UE”.

Certo, cara commissaria Johansson, come se dichiarare che ergere muri è un diritto e una necessità non sia già di per sé una vergogna. La sua risposta istituzionale, cara commissaria, non fa altro che aggiungersi alle rovinose politiche europee sull’immigrazione. Politiche che rendono chi fugge dal proprio paese un criminale, che costringono chi fugge a farlo senza sicurezze, che confinano i migranti in non luoghi per periodi interminabili senza una risposta di lungo periodo. E quello che possiamo aspettarci oggi è solo una politica di contenimento che vada a finanziare paesi come Iran e Pakistan per tenersi buoni i migranti. La sua risposta basta, cara commissaria, per danneggiare la reputazione di cui lei parla!

Mentre parlate di reputazione, i talebani si siedono ai tavoli delle trattative con diversi capi di stato. Pochi giorni fa, durante un evento universitario sull’Afghanistan, ho sentito una frase che mi è rimasta impressa nella mente: “I talebani ci uccidono con un colpo, l’UE lentamente”.

Cosa possiamo fare?

Quanti Abdul hanno vissuto col terrore in questi anni e quanti adesso staranno cercando di fuggire? Non possiamo nemmeno immaginarlo. Quello che possiamo fare è dare voce alle loro richieste, fare pressioni sui governi affinché vengano riformate le leggi sull’immigrazione. Senza farsi paladini di politiche irrealistiche verso le categorie sociali che ci stanno più a cuore (per esempio le proposte di corridoi umanitari per donne e persone LGBTQIA+), senza alimentare retoriche xenofobe, ma con l’obiettivo di tutelare i diritti umani. Serve smettere di parlare di emergenza migratoria e permettere a tuttə la ricerca di una vita migliore senza criminalizzazioni.

Ginevra Campaini
©2021 Il Grande Colibrì
immagini: elaborazioni da Pxfuel (CC0) / da USAID (CC0) / da Tomas Castelazo (CC BY 3.0)

 

Ginevra Campaini: “Mi chiamo Ginevra e non sopporto gli stereotipi delle categorie maschile e femminile. Scrivo per imparare, capire e condividere quello che succede a me e alle persone LGBT+ nel mondo” > leggi tutti i suoi articoli

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