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L’ondata di leggi sempre più dure contro le persone LGBT in Africa non sembra purtroppo destinata a fermarsi. Dopo la Nigeria e l’Uganda, infatti, un progetto di legge per inasprire le condanne a chi pratica sesso con persone del proprio stesso genere è stato presentato da Ezekiel Wenje al parlamento della Tanzania perché, a detta del promotore della legge, “l’omosessualità è in aumento in Tanzania a causa degli scarsi deterrenti offerti dall’attuale legislazione” (theeastafrican.co.ke), che al momento prevede fino a dieci anni di reclusione per il sesso tra due uomini (ilga.org). Intanto appare in dirittura d’arrivo la proposta di pene maggiori anche in Etiopia (in cui le pene arrivano attualmente fino a quindici anni di carcere), dove un progetto di legge in tal senso è stato approvato nei giorni scorsi dal consiglio dei ministri (abcnews.go.com).

Nei paesi dove le leggi sono già state approvate, intanto, i politici fanno il loro gioco. Il presidente ugandese Yoweri Museveni ha rassicurato la popolazione e i leader religiosi, durante una vera e propria parata anti-gay, che il paese se la caverà anche senza gli aiuti occidentali (reuters.com). E in Nigeria, anche se la notizia non è sicura, cinque uomini identificati come omosessuali sarebbero stati denudati e derisi dalla folla nel municipio di Ekurede Urhobo, dove erano stati condotti per essere denunciati (infoboxx.com). Sempre dalla Nigeria arriva però fortunatamente anche la notizia di una prima serie di rilasci tra i sospetti gay (vanguardngr.com) arrestati nella mega-retata di inizio anno (ilgrandecolibri.com).

E mentre quest’ondata di violenza legislativa si sta attivando o inasprendo in molti paesi, non mancano purtroppo le notizie di cronaca nera in cui le persone LGBT occupano sempre il ruolo della vittima: di pochi giorni fa l’agghiacciante notizia di un gay sudafricano ventunenne torturato e ucciso da una banda di minorenni che scandivano slogan omofobici e che dopo aver ripetutamente colpito il giovane gli hanno dato fuoco (mambaonline.com).

Non appare chiara, invece, la dinamica che ha causato la morte del ventiquattrenne Elvis Atabong in Camerun, dove il giovane subì già lo scorso anno un episodio di violenza che gli strappò il fidanzato Henry Mbah. Elvis potrebbe essere morto per le percosse ricevute mentre era passato da casa a recuperare dei soldi, ma dando l’allarme  lui stesso ha parlato di “forti dolori allo stomaco” senza specificare agli infermieri dell’ambulanza che lo ha inutilmente portato in ospedale cosa li potesse aver causati (oblogdeeoblogda.me).

Intanto, però, anche in Africa qualcosa si sta muovendo. “Per ogni legge repressiva, c’è una risposta da parte di scrittori, intellettuali, medici e attivisti africani” nota Robyn Dixon in un’approfondita analisi sul Los Angeles Times (latimes.com). “Nonostante le battute d’arresto, i gay e le lesbiche che fanno coming out sono sempre di più nei paesi dove le leggi non vengono applicate e le punizioni non sono così dure o non sono previste“.

E per dimostrarlo cita non solo l’arcivescovo anglicano Desmond Tutu (che ha recentemente paragonato le norme ugandesi a quelle della Germania nazista), ma anche l’ex presidente del Mozambico Joaquim Chissano, che ha invitato tutti i leader africani a “proteggere i diritti dei gay” (ilgrandecolibri.com), e lo scrittore nigeriano Chimamanda Adichie, che ha espresso una severa condanna per la legge approvata nel proprio paese.

E soprattutto cita lo scrittore keniano Binyavanga Wainaina, che ha appena pubblicato il saggio “Mamma, io sono un omosessuale” in cui racconta il suo percorso verso la difficile accettazione dell’omosessualità. Ed il medico ugandese, ora rifugiato in Sudafrica, Paul Semugoma, autore di un coming out durante una conferenza internazionale a New York nel 2012, che spiega come il problema più grande per l’accettazione dell’omosessualità in queste realtà africane sia il silenzio: “Quanto più a lungo tu stai in silenzio, tanto più loro ti ridicolizzano e ti demonizzano“.

 

Michele
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