Skip to main content

In Nigeria i rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso sono illegali dai tempi del colonialismo britannico, che impose il reato di “sodomia” a popolazioni generalmente non ostili nei confronti dell’omosessualità. La situazione, però, è precipitata dal 2014, quando una nuova legge contro i matrimoni gay ha portato alla moltiplicazione degli arresti e dei crimini d’odio. Bande di malviventi, sentendosi protette e giustificate dalle nuove norme, hanno iniziato a dare la caccia agli omosessuali per picchiarli, derubarli, ricattarli, a volte anche ucciderli. E chi finisce in carcere deve subire pestaggi e stupri in cella, per poi affrontare la propria morte sociale una volta liberato. Ecco alcune delle ultime storie riportate dalla stampa.

Bastonate e ricatti

In agosto un ragazzo di 17 anni, sospettato di essere gay, è stato ucciso a bastonate dai suoi compagni di classe in una scuola dello stato di Jigawa, nel nord musulmano della Nigeria. I suoi assassini si sono giustificati dicendo che volevano rieducarlo e fermare un “vizio sociale”. A settembre una donna lesbica si è salvata per miracolo dall’assalto di quattro uomini, inviati dall’ex marito, che l’hanno bastonata e volevano bruciarla viva. Il suo ex era già riuscito in passato a farla arrestare e le ha promesso di gettarle dell’acido addosso. Per fortuna la donna è riuscita a fuggire all’estero, dove ha chiesto asilo.

[per approfondire: Asilo per Chinonso: ecco perché aveva taciuto di essere gay]

Collins Gideon è un ragazzo, fervente cristiano, diventato famoso suo malgrado: foto in cui appare nudo mentre palpeggia un ragazzo attraverso le mutande e articoli in cui è accusato di essere omosessuale sono stati pubblicati sui social network, sui blog, sui siti più o meno seri di informazione. Gideon spiega ora cosa è successo a No Strings Nigeria: a casa di un presunto amico, un gruppo di giovani lo ha assalito, gli ha strappato i vestiti di dosso, lo ha fotografato nella posa pornografica e alla fine lo ha ricattato: “O paghi o pubblichiamo le foto”. Il ragazzo non aveva i soldi e così quegli scatti sono diventati virali. La famiglia lo ha cacciato di casa, lui ha dovuto abbandonare l’università e scappare in un’altra città, dove sopravvive solo grazie all’ospitalità di un amico.

La vita dopo l’arresto

ABC News ha contattato alcuni degli uomini vittime di una retata in un albergo di Lagos a luglio: 40 presunti gay, tra cui alcuni minorenni, erano stati arrestati con l’accusa di partecipare a un festino, quando in realtà si erano riuniti per sottoporsi a un test per l’HIV offerto dall’Access to Health and Rights Development Initiative (Iniziativa di sviluppo per l’accesso alla sanità e i diritti) [Il Grande Colibrì]. Gli accusati più ricchi hanno pagato una tangente alla polizia e non dovrebbero più avere problemi, gli altri sono stati rilasciati in libertà provvisoria in attesa del processo.

[per approfondire: Nigeria, la polizia arresta 112 presunti gay in due retate]

Femi* ha 23 anni e, dopo un mese trascorso in prigione, è stato cacciato di casa, ha perso il lavoro e ha dovuto abbandonare l’università. La vita non è mai stata clemente con lui: un uomo lo ha violentato quando aveva 14 anni, il padre lo ha sempre maltrattato perché lo giudica effeminato. Dopo essere uscito dal carcere, il ragazzo è stato costretto a prostituirsi per sopravvivere. La notte dormiva con qualche cliente o sul divano di uno dei suoi amici. Ha risparmiato più che ha potuto per pagarsi la sua unica prospettiva per il futuro: un biglietto per fuggire all’estero.

Speranze troppo esili

Tunde* è ancora più giovane e anche lui è stato arrestato quel giorno maledetto. La sua foto, corredata da nome e cognome e da informazioni sulla sua omosessualità e sieropositività, è finita sui media locali e nazionali. E quando sua nonna ha comprato il giornale, ha scoperto tutto. Anche lui è stato cacciato di casa e dal lavoro e ora, in attesa del processo, vive per strada, ma almeno non è più in carcere, dove veniva picchiato da un compagno di cella su istigazione dei secondini.

Doyin*, 15 anni, è una delle vittime più giovani del blitz di Lagos. Ed è anche una delle più fortunate: non solo ha passato in carcere solo 7 giorni, ma soprattutto può contare sul sostegno della propria famiglia. Lo spiega in modo anche un po’ ingenuo: “I miei genitori sanno che sono gay: è il mio stile di vita, è quello che ho scelto e loro dicono che è giusto che io viva la mia vita. Un gay è un essere umano ed è Dio ad avermi creato così”. Verrebbe quasi da dire che Doyin rappresenta una piccola speranza, ma è una speranza davvero troppo piccola.

* nomi di fantasia

 

Pier
©2017 Il Grande Colibrì

Leave a Reply