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L’organizzazione cambogiana per i diritti LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex e asessuali) Rainbow Community Kampuchea (Comunità arcobaleno della Cambogia; RoCk) ha promosso uno studio sulla situazione delle donne lesbiche e bisessuali e degli uomini transgender nel paese. La ricerca è stata portata avanti da Kasumi Nakagawa, accademica giapponese che ha effettuato diversi studi sui matrimoni forzati in Cambogia, e ha coinvolto 23 donne lesbiche, 4 bisessuali e 34 uomini transgender.

Violenze

Secondo quanto emerge dal rapporto, più dell’80% del campione ha dovuto subire una qualche forma di violenza all’interno del proprio nucleo familiare. Sono già una forma di violenza i pesanti commenti sulle minoranze sessuali e sulla diversità che si sentono in famiglia e che pongono un muro a chi vorrebbe rivelare il proprio orientamento o la propria identità di genere, rendendo impossibile fin dall’inizio anche soltanto pensare a un coming out.

Si passa poi a forme di violenza fisica: ad esempio, alcune ragazze lesbiche hanno rivelato che i parenti le hanno picchiate per “guarirle” e indurle a conformarsi al ruolo tradizionale della donna. Altre persone intervistate sono state obbligate, in un modo o nell’altro, a sposarsi con uomini e a nascondere quello che è il loro orientamento sessuale o la loro identità di genere. Alcune famiglie hanno reagito anche usando l’arma economica, proibendo di frequentare la scuola, sospendendo ogni pagamento.

Tradizioni

Le ragioni di questa violenza familiare devono essere cercate nel fatto che i genitori si sentono umiliati se le figlie (o i figli transgender) non si uniformano ai ruoli di genere imposti dalla tradizione. Perciò, negli ambienti più conservatori, fare uso di violenza contro i parenti “non conformi” significa, in un certo senso, “lavare” la vergogna che altrimenti ricadrebbe su tutta famiglia. Come risultato di queste rigide norme familiari, durante la propria vita il 35% delle persone intervistate ha pensato al suicidio o lo ha addirittura tentato.

Alessandro Garzi
©2019 Il Grande Colibrì
foto: Il Grande Colibrì

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