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Novaya Gazeta è un bisettimanale russo che gode di un’ottima reputazione, tanto per la qualità dei suoi articoli quanto per la linea editoriale indipendente. Insomma, purtroppo è una fonte attendibile. E diciamo purtroppo perché la notizia che riporta in questi giorni è talmente terribile da sembrare improbabile: le autorità cecene avrebbero adescato su internet e rapito più di cento uomini gay, tra cui alcuni minori. Almeno tre persone sarebbero state uccise in esecuzioni extragiudiziali, ma il bilancio sarebbe molto parziale.

Nella sua inchiesta, Novaya Gazeta sostiene di basare il suo scoop sulla testimonianza di molte fonti diverse, da ufficiali locali ad agenti federali, passando per gli attivisti ceceni per i diritti LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer, intersessuali e asessuali), anche se nessuna di queste persone viene indicata con nome e cognome o con qualifiche particolari.

Secondo il giornale, tutto sarebbe partito quando Nikolay Alekseev, leader dell’associazione GayRussia.ru, ha chiesto il permesso di svolgere la parata del Gay Pride in numerose città russe, tra cui anche alcune località del Cabardino-Balcaria, una delle repubbliche della Federazione russa che con la Cecenia condivide la posizione nel Caucaso del nord. La strategia di Alekseev era semplice: collezionare una sfilza di rifiuti da esibire come prove della repressione del diritto di assemblea in Russia davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo.

A quel punto, il governo federale di Putin avrebbe invece cercato di presentare nel Caucaso del nord le rivendicazioni di GayRussia.ru come un tentativo di offendere l’islam, religione predominante nella regione, un po’ per continuare la sua battaglia contro gli omosessuali e un po’ per portare dalla propria parte i fondamentalisti “moderati”. La propaganda, però, avrebbe dato vita a un mostro che oggi starebbe spaventando i suoi stessi istigatori: contro il volere di Mosca, le autorità locali della Cecenia avrebbero iniziato una caccia all’omosessuale che si starebbe trasformando in una carneficina.

Raccontata così, l’intera vicenda suona come una bufala complottista, se non fosse che è confermata anche da una delle più grandi esperte del Caucaso del nord, Ekaterina L. Sokiryanskaya, coordinatrice per la Russia dell’International Crisis Group (Gruppo di crisi internazionale). La sua testimonianza ha convino alcuni dei media più autorevoli, a partire dal New York Times.

La smentita del portavoce del governo ceceno, Alvi Karimov, suona tanto categorica quanto poco affidabile: “Non si possono arrestare o reprimere persone che neppure esistono in questa repubblica”, dove “gli uomini conducono uno stile di vita sano, praticano gli sport e hanno un solo e unico orientamento sessuale, definito a partire dalla creazione dell’umanità”. Il negazionismo di queste frasi risulta persino inoffensivo rispetto a un riferimento positivo e agghiacciante ai cosiddetti “delitti d’onore”: “Anche se esistesse gente così in Cecenia, le forze dell’ordine non dovrebbero occuparsene, perché i loro parenti li manderebbero in quel posto da dove non potrebbero tornare” [RT].

Neppure il fatto che Nikolay Alekseev, il leader di GayRussia.ru, abbia smentito qualsiasi persecuzione omofoba in atto in Cecenia può rassicurare più di tanto: se nessuno vuole esporsi in questa denuncia, potrebbe essere per colpa di un clima di paura più che giustificato. Serviranno ulteriori accertamenti e Novaya Gazeta è in prima linea a chiederli.

 

Pier
©2017 Il Grande Colibrì

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