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Negli ultimi anni, chi ama curiosare tra le produzioni a tematica LGBT (lesbica, gay, bisessuale e transgender) si sarà certamente imbattuto in qualche film prodotto nelle Filippine. Frequentando i festival, per esempio, molti avranno sicuramente visto “The blossoming of Maximo Oliveros” (La fioritura di Maximo Oliveiros) di Auraeus Solito, e fra i film in catalogo di Queerframe compare fra gli altri il titolo di “Masahista” (Il massaggiatore) di Brillante Mendoza. Ma è navigando in internet che si scopre una galassia di film filippini (purtroppo quasi tutti non sottotitolati), farciti di insistite e dettagliate scene di sesso gay. Una lunga lista di lavori ad alto livello di testosterone, in cui si affrontano apertamente le mille sfaccettature della realtà omosessuale, presentando un colorato caleidoscopio di personaggi più o meno memorabili, più o meno complessi, più o meno attraenti.

Il tutto realizzato rigorosamente con economiche videocamere digitali, quasi senza nessuna cura della fotografia e del suono, senza effetti speciali e reclutando attori non professionisti nei modi più improvvisati. Non sarebbe strano se si trattasse di una provocazione stilistica della cinematografia danese, ma qui siamo nelle Filippine, un Paese dove bisogna fare di necessità virtù.

Mi ha sempre incuriosito però il fatto che in un contesto socio-politico soggetto a preponderanti forze conservatrici di matrice cattolica e dove un partito di militanza LGBT è stato sciolto in passato in quanto “promotore dell’immoralità”, sia potuto emergere e abbia trovato visibilità un fenomeno artistico come quello del cinema gay indipendente. Per capire meglio le origini e lo sviluppo di questa intrigante realtà, decido di incontrare a Manila Crisaldo Pablo, l’intraprendente e audace regista a cui va il merito pressoché esclusivo di avere riportato in vita il moribondo cinema filippino nella prima metà degli anni 2000, inaugurando una nuova corrente di film a tematica LGBT, realizzati in modo indipendente e senza budget, ma nella sua visione destinati al mercato generale.

La storia ha inizio nel 2003, quando Cris (come ci tiene a farsi chiamare), determinato a realizzare un film di cui sentiva una necessità terapeutica, per metabolizzare una forte delusione d’amore, è riuscito a girare e portare nelle sale cinematografiche il suo “Duda” (Il dubbio) in un momento in cui però non c’era alcuno spazio per un aspirante regista a causa della forte crisi dell’industria cinematografica nazionale.

La storia, marcatamente autobiografica, è incentrata su un personaggio che, dopo una lunga esperienza di sesso occasionale, decide infine di aprirsi a una relazione più significativa con un ragazzo. Dopo qualche anno di felice convivenza, emerge il dubbio sulla fedeltà del suo partner, un dubbio che, una volta confermato, porta alla disillusione e alla scoperta dell’importanza dell’onestà nelle relazioni umane, un tema che ritorna un po’ in tutta la prolifica produzione del regista.

Non avendo risorse a disposizione, Cris prende in mano una videocamera digitale e recluta gli attori per il suo film fra la gente comune. Per la maggior parte, ragazzi etero! Racconta come, ad esempio, la sequenza orgiastica con cui si apre il film sia stata interpretata da un gruppo di pescatori locali che, alla proposta di partecipare a questo tipo di ripresa, non ha avuto alcun tipo di esitazione.

Ad eccezione di chi si è formato nelle scuole cattoliche – spiega Cris – i ragazzi filippini sono normalmente molto disinibiti, abituati all’intimità del contatto personale. Fa parte del loro ordinario modo di interagire e non è raro che alcuni di loro abbiano già fatto esperienze omosessuali. Tuttavia ci ha spiazzato la prontezza con cui hanno accettato addirittura di baciarsi, per le scene del film. Qualcuno, curiosamente, ha posto come condizione di baciare soltanto un altro ragazzo etero, ma i più semplicemente non hanno battuto ciglio“.

Le scene di sesso sono state prima simulate con i vestiti e poi, al momento di girare, la produzione ha lasciato gli attori da soli nella stanza, perché si sentissero più a loro agio, dopo aver dato loro istruzioni sui tempi per arrivare all’orgasmo. In effetti la “pragmaticità” dell’approccio alla sessualità dei personaggi, come degli attori stessi, all’interno di questi film, è qualcosa che si percepisce fortemente, soprattutto per chi, in occidente, è abituato a fare i conti con mille inibizioni e a un rapporto molto più nevrotico con la corporeità in generale.

Ora, la strada maestra per la distribuzione di un film a vocazione underground come “Duda” doveva passare naturalmente per i festival internazionali del cinema LGBT. Cris invece ha corso il rischio di bypassare completamente questo circuito, per inseguire la sua visione di portare per la prima volta sugli schermi della grande distribuzione commerciale filippina un’opera realizzata interamente con una HD cam hand-held, senza effetti speciali, senza una corretta illuminazione e con un audio che eufemisticamente si può definire imperfetto.

La scommessa era che la tematica LGBT e la promessa di scene esplicite non solo non avrebbe allontanato gli spettatori, ma avrebbe giustificato commercialmente la proiezione del suo film nei cinema indipendenti e soprattutto nelle grandi sale, in primis la catena SM, che ha quasi il monopolio della distribuzione su tutto il territorio nazionale e che all’epoca aveva uno spazio di programmazione dedicato ai film d’essai per adulti. Non è stato facile per Cris superare le resistenze dei proprietari, non abituati a dialogare con registi senza grosse compagnie di produzione alle spalle, ma una volta convinti a procedere con questo esperimento, Cris è riuscito anche a trovare un riluttante sponsor, la Epson, che in altri Paesi asiatici aveva già dato il suo supporto a iniziative LGBT.

Nonostante la preoccupante invisibilità degli spettatori alle casse (a quanto pare chi andava a vedere questo film era poco propenso a mettersi in coda assieme ad altre persone), le sale si riempiono, “Duda” arriva straordinariamente al quarto posto nella classifica dei film più visti, insieme ai blockbuster di Hollywood, e il film rimane in programmazione per ben sei mesi. E’ l’inizio di un nuovo capitolo nella storia del cinema filippino.

Le reazioni del pubblico sono miste. Da una parte, chi non aveva mai sentito parlare di cinema indipendente lamenta di sentirsi preso in giro per aver pagato un biglietto per vedere un film dalla realizzazione apparentemente amatoriale. D’altro canto, però, arrivano commenti molto incoraggianti, fra cui quello di un prete che si complimenta per la “spiritualità” del film.

Sull’onda dell’entusiasmo per questo successo, iniziano le riprese per il secondo film, “Bathhouse” (La sauna), che riprende esattamente la stessa formula stilistica, narrando questa volta le vicende di un ragazzo che esplora la sua sessualità sullo sfondo della scena gay underground di Manila, dove “il piacere non ha un volto“, finendo per perdere la sua innocenza e la sua ingenua concezione dell’amore. E’ un film un po’ più complesso e concettuale del primo, che conferma comunque il gradimento del pubblico e il successo al botteghino, attirando a questo punto l’attenzione di altre case di produzione, a cui Cris ha dimostrato che “si può fare” e che quindi non possono ignorare questo nuovo, eccitante filone di possibilità.

Si arriva così alla produzione nel 2005 del celebre e pluripremiato “And pagdadalaga ni Maximo Oliveros” (The blossoming of Maximo Oliveros), diretto da Auraeus Solito. Il film partecipa all’edizione inaugurale del Festival del cinema indipendente filippino, Cinemalaya, che nel frattempo è diventato un importante punto di riferimento per tutti gli artisti locali.

E’ la storia di un effeminato ragazzino dodicenne, la cui dolce personalità ed evidente omosessualità è accettata senza alcun problema dalla sua famiglia, in particolare dai fratelli a cui è molto legato, i quali però sono pedine della mafia locale e vivono di piccolo crimine. Maximo si infatua di un poliziotto, la cui sessualità non viene mai rivelata nel film, ma che accetta le attenzioni del ragazzino, instaurando con lui un rapporto di cura e protezione reciproca, finché la vicenda non si complica a un punto tale che Maximo decide di distaccarsi definitivamente dal suo primo grande amore.

E’ una storia molto bella, delicata, adatta a un pubblico familiare, che parla di omosessualità in modo implicito e normalizzato. Il film vola alto nelle classifiche e viene conosciuto in tutto il mondo, grazie alla sua massiccia presenza ai festival internazionali. È talmente popolare che nel 2013 trova anche una nuova reincarnazione nel musical “Maxie”.

Grazie a “The blossoming of Maximo Oliveros”, il cinema indipendente filippino viene definitivamente sdoganato e inizia una straordinaria stagione di “blossoming”, che include anche titoli particolarmente osé, come “And lihim in Antonio” (Il segreto di Antonio) del 2008, diretto da Joselito Altarejos. È un’altra storia di innocenza perduta in cui il protagonista scopre la sua sessualità entrando in un rapporto “esplorativo” con l’adorato zio, con cui deve temporaneamente condividere il letto. Decisamente questa non è una storia per famiglie, e stupisce che scene esplicite di masturbazione e sesso orale gay abbiano passato il vaglio della censura, permettendo a questa pellicola di essere proiettata nel circuito commerciale (questione di avere i contatti giusti, spiega Cris).

O ancora “Sagwan“, di Monti Parungao, del 2009, che ritrae la vita di alcuni barcaioli che si prostituiscono con i turisti, e “Daybreak” (Alba), del 2008, di Adolfo B. Alix Jr., diventato un altro instant classic.

Anche Brillante Mendoza, premiato come miglior regista a Cannes nel 2009, rende omaggio al cinema queer indipendente con “Masahista” (Il massaggiatore), del 2005, e lo stesso Cris Pablo sforna un numero incredibile di pellicole digitali in pochi anni, contandone più di trenta fino al 2010 (“Boylets”, “Moreno”, “Circles”, “Chubby Chaser”, “Quicktrip”, “Metlogs”, per citarne solo alcuni).

Il risultato è che in questi anni, nelle Filippine, cinema indipendente diventa quasi sinonimo di cinema queer, al punto che persino i registi eterosessuali, “invidiosi” del successo del filone erotico omo – come chiosa maliziosamente Cris – iniziano a produrre film di questo tipo, che garantiscono loro un buon ritorno economico. Tuttavia, questa svolta marca anche l’inizio del declino. Il mercato viene invaso da film d’exploitation, con trame e personaggi sempre più stereotipati che ne abbassano lo standard e il gradimento, nello stesso momento in cui cambia anche il vento nel panorama culturale e commerciale dell’industria cinematografica.

Le vendite dei DVD originali tendono ormai allo zero, i piccoli cinema indipendenti si trasformano via via in luoghi di sesso occasionale prima di chiudere definitivamente i battenti, le grandi catene di distribuzione cadono in una spirale di conflitti di interesse in cui per esempio chi è a capo della commissione per la classificazione dei film del Paese è occultamente proprietario delle due maggiori case di produzione cinematografica e, ciliegina sulla torta, l’attuale amministratore delegato della catena commerciale SM, una fervente cattolica, ha fatto voto alla Madonna di non programmare mai più film vietati ai minori nelle sue sale, a dispetto del buon ritorno economico.

Di conseguenza, gli ultimi cinque film di Cris non hanno trovato nessuna distribuzione, al di fuori delle proiezioni conviviali nel suo appartamento privato, e per vivere il regista ha dovuto ripiegare negli ultimi anni su produzioni rivolte alla famiglia o agli adolescenti. Non dimenticando mai però di includere personaggi omosessuali positivi in ogni suo lavoro, nell’attesa che le circostanze siano nuovamente favorevoli per un ritorno del cinema queer indipendente.

 

Paolo
Paolo Ferrarini è 
studioso di lingue e culture straniere e musicista (paoloferrarini.net)
Copyright©2014ilgrandecolibri.com

11 Comments

  • giorgio bolognesi ha detto:

    non mene frega nulla se questa discussione è chiusa e stra chiusa da settimane, ma volevo dirvi grazie! ho appena finito di vedere il film "La fioritura di Maximo Oliveiros" e mi è piaciuto un sacco! la pedofilia non c'entra nulla, nè l'erotismo, anche perchè il punto di vista è completamente voltato dalla parte del giovanissimo Maxi combattuto tra l'amore per la famiglia (di disonesti), e il suo primo amore, un poliziotto (un po moralista), di 15anni più grande di lui (il quale comunque è imbarazzatissimo dal ricevere le attenzioni del 12enne Maxi @_@)… è proprio una cotta spudorata quella che si prende il ragazzo ^_^ e di erotico tranquilli che non c'è nulla 😉 grazie ancora, pure la regia e la fotografia di certe scene l'ho trovata eccezionale!!!

  • p[ i] ha detto:

    Non so, io credo in ogni caso che non sia necessariamente compito del cinema, in quanto forma d'arte, "moralizzare" il pubblico, insegnando una cosa tra l'altro così ovvia come che non è legittimo violentare i bambini (se questo è il senso che decidiamo di dare al termine pedofilia). Il compito del cinema a mio modo di vedere è quello di far discutere e riflettere, a partire anche da idee controverse e che infrangono i tabù. E comunque non è il caso di questo film, che consiglio a voi come a tutti di guardare perché è un capolavoro pieno solo di bellissimi sentimenti e non è apologetico di nulla.

    • John ha detto:

      Il cinema proprio perché forma forma d'arte deve avere un suo messaggio. Occorre finire di essere in era postmodernista e decostruzionista in cui si fanno opere e poi ognuno ci vede quello che vuole giusto per far riflettere (semplificando di molto il tutto). Inoltre, proprio perché un film racconta la storia ideata da un autore è chiaro che sia lui (o lei) a fare in modo che la trama si sviluppi in modo da avere eventi che spingano verso i bellissimi sentimenti. Ciò non toglie che creare una storia con un dodicenne che ha una relazione con un poliziotto è qualcosa che mette i brividi. Non è (solo) una questione di moralità ma anche di saper porre dei limiti. Molti pedofili ritengono di amare profondamente le vittime, anche bambini di sette od otto anni. Se va bene dodici cosa impedirebbe a qualcuno di dire che anche sette od otto vanno bene, o età ancora più piccole? Lei riuscirebbe ad accettarlo? Io no, e non ho problemi a essere etichettato come bigotto se questo è il prezzo per le mie opinioni

    • p[ i] ha detto:

      Non è certo bigottismo tutelare senza ambiguità i diritti dell'infanzia. Su questo mi trovi in pieno accordo. Ci tenevo solo a ribadire che stiamo costruendo questa interessante discussione a partire dal film sbagliato, dal momento che il rapporto in questione tra il poliziotto e il ragazzino non è di natura pedofilica, in quanto il poliziotto non approfitta in alcun modo del ragazzino e non investe su di lui attenzioni morbose. La nostra differenza di opinione riguarda in generale il ruolo del cinema nel rappresentare temi controversi. Al di là dei paradigmi che hai citato (postmodernista o decostruzionista), a cui non facevo riferimento, che comunque interessano solo una parte della cinematografia e che non ho capito da dove secondo te derivi addirittura l'imperativo categorico di abbandonare ("Occorre finire…ecc"), io penso che anche un film veramente apologetico della pedofilia come "For a lost soldier", per esempio, abbia ragione di esistere, proprio perché secondo me non tutte le pellicole devono per forza essere didascaliche, didattiche e stare "dalla parte del bene". Anzi, per me anche quel "mettere i brividi" di cui parli può far parte della missione artistica di un'opera cinematografica e ti aiuti a capire chi sei davvero come persona, mettendoti a confronto con le idee ritratte sullo schermo. Tu sembri rifiutare sostanzialmente l'idea che un regista possa creare qualcosa che prescinda dal bene e dal male, e che debba sempre dare invece un messaggio moralmente ineccepibile. Io invece trovo la sospensione del giudizio qualcosa di fortemente stimolante nell'arte e spesso al contrario mi annoio e mi irrito quando uno esplicita troppo chiaramente il suo messaggio e la sua morale, anche attraverso i limiti che si autoimpone. Ma ovviamente, quando si tratta di arte e di gusti, ognuno ha una sensibilità diversa, e non si può pensare di trovare un accordo su questo.

  • janu ha detto:

    vi rerendete conto che "The blossoming of Maximo Oliveros" racconta una storia di pedofilia?

    • p[ i] ha detto:

      Io no, non me ne sono reso conto. A me sembra la storia di un ragazzino che vive con naturalezza la sua identità sentimentale e il suo primo innamoramento. Sarebbe una storia di pedofilia se il punto di vista fosse quello di un pedofilo che si innamora di un dodicenne, ma non è il tema di questo film. E se anche fosse? Il tuo commento sembra suggerire che la cinematografia non debba occuparsi del tema della pedofilia. Se è così, perché?

    • janu ha detto:

      Beh, non dovrebbe occuparsene in tono apologetico.

    • John ha detto:

      Concordo. Se il dodicenne fosse stato LA dodicenne si sarebbe scatenato l'inferno. Però a quanto pare è una storia d'amore. Un po come Lolita

    • Anonimo ha detto:

      Tacciare un film per famiglie di apologia alla pedofilia è assurdo, neppure l'associazione dei genitori cattolici arriverebbe a tanto. Il film non è per niente morboso, forse morboso è chi vede la morbosità dappertutto?

    • John ha detto:

      Eccolo il paragone con i cattolici, me lo aspettavo. Ma ora chiunque provi a fare notare quello che sente che va contro il mainstream alternativo deve per forza essere paragonato ai cattolici? Inoltre qui si commentava il fatto che 1) è una storia di pedofilia (pedofilia vuol dire "amore" e attrazione verso i pre-adolescenti anche senza contatto fisico), 2) il tono dell'articolo sembrava essere apologetico per me e l'altro utente. Prova a negare che la storia non sia a base pedofila sulla base della sua definizione? Poi puoi sempre ritenere giusto e corretto che un poliziotto trovi attrazione verso un dodicenne, anche senza fare nulla verso di lui. Questo traspare dall'articolo, e si commentava questo.

    • Il Grande Colibrì ha detto:

      Vorrei chiedere dove sia la pedofilia o addirittura la sua apologia in questo articolo e nel film di cui si discute.
      Parto dall'articolo. In cui si cita "un rapporto di cura e protezione reciproca" tra un adulto e un ragazzino. Siete sicuri che un adulto che cura e protegge un dodicenne possa essere assimilato a un pedofilo, che prova attrazione sessuale per un bambino? E che una persona che descrive questo rapporto come "una storia molto bella, delicata, adatta a un pubblico familiare" possa essere assimilata a un apologeta della pedofilia? Mi sembrano entrambe accuse infondate e insostenibili, alle quali spero seguiranno delle scuse.
      Per quanto riguarda il film, preciso subito che non l'ho visto. Mi posso basare solo sulla descrizione di Paolo, persona che stimo molto. E di qualche decina di altri critici cinematografici, che nelle loro recensioni o non parlano di pedofilia o scrivono esplicitamente che non si tratta di una storia di pedofilia. Mi parrebbe poi assai strano che un film circolato in tutto il mondo e proiettato nelle sale cinematografiche mainstream (non su siti per pedofili!) possa fare propaganda per la pedofilia senza che nessuno spettatore lo denunci pubblicamente…
      E' giusto che il tema della pedofilia porti a reazioni forti, ma proprio perché si tratta di un tema drammatico credo che dovremmo evitare di lanciare accuse senza fondamento, perché gridare "al lupo, al lupo!" è una strategia che non solo non aiuta le vittime della pedofilia, ma rischia di trasformare un problema reale nell'ennesimo sterile motivo di polemica.

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